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IL RECINTO

Brani di Manuel Scorza dal romanzo “Rulli di tamburo per Rancas”

Capitolo 6: Sull’ora e sul luogo dove fu partorito il recinto

 I vicini di Ondores, di Junìn, di Huayllay, di Villa de Pasco, si conoscono tutti. Ma quegli ingiacchettati di cuoio nero, nessuno li aveva mai visti. Scaricarono balle di filo di ferro. Finirono all'una, mangiarono e cominciarono a scavare buche. Ogni dieci metri piantavano un palo.
Fu così che nacque il Recinto.
I rancheni tornano dai loro poderi alle cinque. È il momento migliore per concludere affari di bestiame o per propalare battesimi e matrimoni. Come tutti i giorni, anche quel crepuscolo fecero ritorno dai loro pascoli. Trovarono l'Huiska recintato! L'Huiska è un colle pelato che non nasconde minerale, né polla d'ac­qua, né tollera il prato più stento. Perché recintarlo?
Col suo collare di filo di ferro l'Huiska sembrava una vacca ficcata in un chiuso.
Morivano dal ridere.
"Chi saranno quei matti che cintano l'Huiska?"
"Saranno geologi."
"Saranno operai del telegrafo."
"Quale telegrafo?"
"Fintanto che non se la prendono con noi, cosa ci importa?" disse il Personero Alfonso Rivera.
Quella notte, il Recinto dormì sul colle Huiska. I pastori uscirono, il giorno dopo, soffocando risolini sotto il bavero.

 

Quando tornarono, il Recinto aveva già ser­peggiato per sette chilometri.
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Capitolo 8: Dei misteriosi operai e delle loro ancor più misteriose occupazioni

"In quel crepuscolo, in quell'ipocrita crepuscolo, le parole non si contano. Per la prima volta, il Recinto sbarrò il ritorno dei mandriani. Per entrare a Rancas le greggi dovettero allungare la strada di una buona lega. Rancas cominciò a mormorare. A cosa aspirava il Recinto? Che disegno nascondeva? Chi ordinava quella separazione? Chi era il padrone di quel filo di ferro? Da dove veniva? Un'ombra che non era il tramonto incupì le facce tribolate. La pampa appartiene ai viandanti. Nella pampa non si sono mai visti recinti. Quella sera, continuarono a parlare fino a seccarsi la gola. Tu non dicevi nulla. Tu, don Alfonso, avevi già maturato il tuo piano: chiedere una spiegazione alle squadre. E così fu: ti sei alzato di buon'ora e ti sei messo il vestito nero. Per raggiungere la testa del Recinto ti sei dovuto per­correre quindici chilometri. Cappello in mano, ti sei fatto avanti. Uomini armati di fucile ti hanno fermato."
"Non si passa."
"Mi permetto informare, signori, che io sono il Personero Legittimo di Rancas. Con chi ho il piacere?"
"Non si passa."
"Mi permetto informare, signori, che loro si trova­no su terre della comunità di Rancas. Noi vorremmo..."
"Non abbiamo ordine di spiegare. Se ne vada."

 

Da tali proibizioni nacque il sospetto che gli operai stavano compiendo una condanna.
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Capitolo 10: Intorno al luogo e all’ora in cui il verme di fil di ferro apparve a Yanacancha

 

In uno dei muri del cimitero, un giovedì, la notte partorì il Recinto.
Mi feci tre segni della croce. Una folla d'ingiacchettati lo guardava strisciare. Sotto i miei occhi il Recinto circondò il camposanto e scese verso la strada. Era l'ora in cui i camion ansimano verso Huànuco, felici di avvi­cinarsi a terre alberate. Sul bordo della strada il Recin­to si fermò, meditò una mezz'ora e poi si divise in due. La strada per Huànuco cominciò a scorrere tra due con­fini. Il Recinto serpeggiò per tre chilometri e poi puntò verso le terre scure di Cafepampa. "Qui c'è qualcosa che non va," pensai. Non mi curai della nevicata e cor­si ad avvisare don Marcelino Gora.

 

Ma don Marcelino non era in vena di ascoltare notizie.