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Reviglio, no alle opere pubbliche faraoniche
ItaliaOggi anticipa le proposte del capo economista della cassa depositi e prestiti
“Non possiamo permetterci le infrastrutture da paese ricco”

 

di Michele Arnese da ItaliaOggi del 25/10/11 – pag. 4

 

Urge un piano nazionale delle infrastrutture che prescinda dal tipo dell'Alta Velocità fra Bolo­gna e Milano e dal Ponte sullo stretto di Messina. È quanto scrive il capo economista della Cassa depositi e prestiti, Edoardo Reviglio, in un saggio che sarà pubblicato sul prossimo numero della ri­vista Italianieuropei, edita dall'omonima fondazione fondata da Giuliano Amato e Massimo D'Alema. Occorre, sostiene Reviglio a titolo perso­nale come professore universitario alla Luiss di Roma, «un ripensamento sulla scelta delle infrastrutture necessarie, con­centrandosi su quelle con maggiori effetti positivi per la crescita e la competitività del sistema economico». Un «paese in diffi­coltà di bilancio», come il nostro, «non può permettersi le infrastrutture di un paese ricco. La Svizzera può decidere di ridipin­gere le scuole tutti gli anni o di dotarsi di infrastrutture di trasporto o ambientali di avanguardia», secondo Reviglio, «un paese come il nostro, invece, deve fare delle scel­te (anche dolorose) per allocare le risorse scarse a quelle infrastrutture che hanno un maggior effetto sui fattori produttivi e di sistema».

 

«Questo significa un ripensamento gene­rale delle scelte fatte sin d'ora», scrive Re­viglio nel paper ancora inedito, «ad esempio ci domandiamo se 12 miliardi di euro per l'Alta velocità tra Bologna e Milano (per «guadagnare» quindici minuti) non sia stata una scelta da paese ricco. Così come i 6 miliardi per il ponte di Messi­na». Secondo il docente universitario, che è anche capo dell'ufficio studi della Cdp controllata al 70 per cento dal ministero dell'Economia, «bisogna evitare di farsi guidare da una visione novecentesca del­le infrastrutture, dove le grandi opere di trasporto di cemento dominano su tutto il resto e dove la «razionalità» del sistema dipende da una visione «ri­nascimentale» e architettonica del sistema stesso, dove completare le «assi» diventa un ideale da raggiungere a scapito di interventi mirati, magari di minore effetto, ma più utili».

 

Le vere priorità? La logistica, le telecomunicazioni, le infrastrutture per i servizi di pub­blica utilità, quelle per una burocrazia veloce ed efficien­te e per un sistema scolastico e di ricerca competitivo, maanche gliaeroporti, i porti,
il trasporto merci su ferro, le autostrade del mare, i trasporti locali, gli acquedotti, l'edilizia sociale.
Con quali soldi? Anche con gli incentivi fiscali che «possono rappresentare un parziale sostituto di risorse pubbliche che non abbiamo». Gli incentivi fiscali, secon­do Reviglio, «sono un modo per realizzare progetti che altrimenti non sarebbero sostenibili. Gli Stati Uniti da questo punto di vista insegnano; nell'ambito del piano di rilancio di Obama in meno di due anni (2009-11), grazie agli incentivi fiscali, sono stati emessi oltre 200 miliardi di euro di project bond per finanziare le infrastrutture e l'energia».

 

Reviglio consiglia alcuni accorgimenti sia per le grandi opere strategiche che per quelle di dimensione piccola e media. Per le prime, si legge nel saggio che sarà pubblicato sul prossimo numero della rivista Italianieuropei, è necessario, ad esempio, «razionalizzare e concentrare i fondi e le competenze esistenti in materia di infrastrutture», oltre a puntare su un «maggiore utilizzo degli strumenti finanziari europei (fon­di equity, project bond)». Per le opere in partner­ship pubblico-privato (Ppp)  di  dimensione media e medio-piccola serve, tra l'altro, «la centralizzazione e standardizzazione delle procedure di Ppp e una maggiore assistenza da parte delle Cdp», oltre alla «creazione di strumenti di fondi regionali in grado di intercettare fondi europei e risorse private per le opere di piccola e media dimensione».