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CRONACA DI UN PROCESSO NO TAV


"Sta per terminare il primo dei processi contro i NO TAV riferiti ai fatti del 2010. In quell'anno venivano effettuati i sondaggi geognostici lungo il futuro percorso della Torino Lione ed il movimento NO TAV era in costante mobilitazione con azioni di disobbedienza civile anche per informare la popolazione dell'inutilità e dei costi esorbitanti di questi lavori "truffa" propedeutici al TAV. In particolare questo processo è riferito al sondaggio S66 effettuato in località San Giuliano di Susa vicino all'autoporto.

 

Ho seguito tutte le udienze del processo e sento il bisogno di raccontarlo, perchè rende palese l'accanimento della procura di Torino nei confronti di imputati appartenenti al movimento NO TAV. Sono sconcertata dal fatto che sia possibile costruire un processo su prove inconsistenti e che delle persone rischino la galera perché presunti colpevoli di fatti in sé "poco gravi" come definiti dallo stesso Pubblico Ministero Giuseppe Ferrando.

 

I fatti di quel giorno.
Gli attivisti NO TAV, dopo un'assemblea molto partecipata al presidio permanente di Susa, decidono di fare un corteo rumoroso in direzione della frazione di San Giuliano di Susa per informare gli abitanti della frazione del sondaggio in corso, facendo un percorso che parte dallo svincolo autostradale dell'autoporto e aggira simbolicamente la trivella. In circa 300 persone partono con striscioni e bandiere e vari "strumenti" (pezzi di legno, aste) in mano per effettuare una "battitura" del guardrail in modo da farsi sentire. Sottolineo che la battitura era in quel periodo una pratica di carattere folcloristico senza scopi violenti, usata in molte altre precedenti occasioni dal movimento NO TAV.

 

La trivella in questione è posta in un luogo difficilmente accessibile, su un terrapieno a una decina di metri d'altezza a sua volta circondato da una rete molto alta, ma nella zona vi è comunque una massiccia presenza di forze dell'ordine a protezione dei lavori di sondaggio: la polizia circonda la trivella e un cordone di agenti è schierato a sbarrare la strada che costituisce l'unico accesso possibile all'area del sondaggio. Il corteo dei manifestanti non imbocca la strada bloccata dalle forze dell'ordine e il cordone di polizia si sposta velocemente per tentare di fermare il percorso dei manifestanti; quando il corteo sopraggiunge tenta di respingerlo con una carica di alleggerimento usando i manganelli contro i manifestanti. Lo scontro dura una manciata di secondi, due manifestanti hanno ferite sanguinanti alla testa ed altri vengono buttati a terra. Subito dopo viene accordata l'autorizzazione a proseguire la manifestazione e il corteo prosegue tranquillamente verso San Giuliano facendo il giro attorno alla trivella come era nelle intenzioni.

 

Otto manifestanti vengono in seguito accusati di violenza e minaccia nei confronti degli agenti di polizia usati "per costringere gli stessi ad omettere un loro atto d'ufficio cioè impedire che i manifestanti raggiungano il sito S66 ove erano in corso sondaggi geognostici". La polizia in realtà ha omesso da sé l'atto d'ufficio nel momento in cui si è spostata lasciando accessibile l'unica strada che permette di raggiungere la trivella.
L'accusa si basa su un filmato della scientifica in cui nessuno degli imputati si vede commettere il reato di cui è imputato ma si vede chiaramente la carica con uso di manganelli da parte della polizia che si scaglia contro i manifestanti. Lo scontro dura in tutto 23 secondi.

 

Dei sei testimoni dell'accusa tre dicono di essere arrivati dopo il momento dello scontro e la loro testimonianza è basata sul filmato e su ciò che hanno sentito dire o intuito.
Fusco, comandante Digos, è arrivato dopo e non vede bene perché è dietro ma ricorda anche male quello che ha visto dopo perché afferma che il corteo è poi tornato indietro.
Raimondi della Digos non è presente e commenta tendenziosamente le immagini del video facendo un processo alle intenzioni agli imputati e traendo conclusioni del tutto arbitrarie sul loro comportamento.
La dirigente della polizia Seri che è a capo delle operazioni in quel momento ammette di aver dato l'ordine di respingere i manifestanti, dice poi che tra la posizione laterale, il buio e la neve non ha visto nulla. Ammette che nessuno dei manifestanti ha aggredito fisicamente la polizia.
I reperti della polizia scientifica sono due scudi di plastica rotti, che non si sa da quali agenti fossero portati, una fiaccola e qualche bastone. Il comandante del reparto mobile di Firenze schierato in quell'occasione, dichiara: "gli scudi si rompono quasi sempre, siamo abituati, sono di plastica". Anche lui è un testimone non presente al momento dello scontro.

 

Risultano due poliziotti colpiti alla spalla con ben sette giorni di prognosi che dicono di non ricordare nulla, tanto meno chi e come li ha colpiti. Uno dei due, Bernardini, non si ricorda neppure dov'era posizionato e non ha visto nulla perché aveva la visiera del casco appannato. E' sicuro di essere stato colpito alla spalla destra ma sul certificato medico, redatto tra l'altro il giorno successivo allo scontro, è indicata la spalla sinistra.

 

Lo scontro è ricostruito dall'accusa in base a presupposti e non a fatti concreti ed è chiaro che gli imputati sono ritenuti presunti colpevoli fino a prova contraria e non viceversa. L'arringa del Pubblico Ministero è una degna conclusione: ammette che i fatti di violenza successi sono "poco gravi" e sono durati pochi secondi: però sono avvenuti nel contesto di manifestazione non autorizzata, che sembra essere il reato più grave commesso quel giorno: peccato che non rientri tra i capi d'accusa degli imputati. In ogni caso il PM sottolinea che la manifestazione non autorizzata "ha frontalmente sfidato l'autorità in modo programmato" e parla più volte di uso legittimo delle ARMI da parte delle forze dell'ordine. "Chi partecipa ad una manifestazione non autorizzata deve mettere in conto che può prendersi delle manganellate: lo Stato è legittimato a colpire ma i manifestanti non sono legittimati a difendersi".
Possono solo legittimamente prendersele.


Il PM parla di persone travisate ed armate di bastoni che costituivano una minaccia. Il corteo era assolutamente pacifico. Molte persone nel corteo avevano in mano bastoni per la battitura ed avevano sciarpe e cappelli in quanto era inverno e nevicava. Degli otto imputati invece solo uno aveva una sciarpa che copriva parzialmente il volto mentre tutti gli altri erano a volto scoperto e la metà degli imputati erano a mani nude. In base a cosa allora sono stati SCELTI - perché sono stati scelti - gli imputati, visto che i tafferugli hanno coinvolto ben più di otto manifestanti? Per la loro posizione nel corteo? Per la loro posizione ideologica?

 

Alla fine Ferrando propone per sette imputati una pena che va dai dieci mesi di reclusione per Massimo Aghemo, Marco Bailone e Fabrizio Berardinelli, un anno per Luca Abbà e Andrea Bonadonna, un anno e un mese per Paolo Patanè, un anno e tre mesi per Maurizio Mura. Per l'ottavo, Stefano Milanesi, non se la sente neppure di formulare un'accusa perchè dal filmato si vede che sta tranquillamente fumando al momento dello scontro.
Gli avvocati della difesa paventano che si possa tirare in ballo il concorso morale per accusare anche lui; ma allora tutte le trecento persone del corteo sarebbero colpevoli di concorso morale allo stesso modo, per il semplice fatto di esserci.

 

Rimane l'ultima udienza da seguire, il 9 aprile, dove ci saranno le arringhe degli avvocati difensori. E poi la sentenza. Sono sicura che tutti gli imputati verranno assolti per non aver commesso il fatto e potremo festeggiare un'altra vittoria del movimento NO TAV.

Cristina Abbà - Avigliana