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SCUDI UMANI

La parabola di Stefano Esposito, da Jfk a Silvio

 

di m.pa. da Il Fatto Quotidiano del 01-09-2013

 

Diciamo che il fisico non lo aiuta, eppure il senatore democratico Stefano Esposito da Moncalieri non si rassegna al ruolo di grigio travet da Transatlantico a cui l’aspetto sembrerebbe relegarlo. E infatti s’agita, interviene, sgomita, polemizza. Lo stile è quel che è, l’universo mentale vagamente machista: nell’eloquio del nostro, per dire, ricorre spesso l’espressione “avere le palle” (lui) o “non avere le palle” (gli altri). Non solo: nei suoi non rari alterchi sul web accade spesso che si descriva come un giovane di strada, diciamo così, con relativa possibilità che questa condizione di nascita comporti per l’interlocutore “quattro ceffoni”. Va detto però che Esposito non è un violento, è solo agitato: la sua vera ossessione, oltre a finire sui giornali, è per così dire épater les bourgeois, nel senso di quella borghesia “de sinistra” che egemonizza il bel mondo culturale italiano e campa assai bene senza che il buon Esposito entri nella sua sfera del cosciente. Questa insoddisfazione esistenziale a volte lo porta a strafare: “Il problema della sinistra è aver lasciato la battaglia per la legalità nelle mani della destra”. Sarà.

 

IL SENATORE “cresciuto in barriera” (l’hinterland di Torino), insomma, recita da Richard Nixon mentre sogna di essere John Kennedy: il leader che guida le masse fuori dall’errore con coraggio e visione (s’ispira, ha detto, a Ritratti del coraggio, libro che Jfk dedicò ad otto senatori degli anni della Guerra di Secessione). Iscritto alla Fgci, dal 2001 dipendente della Prefettura “dopo aver vinto un regolare concorso” (il destino da travet), segue il partito nelle sue varie trasformazioni: nel 2004 riesce a diventare consigliere provinciale e nel 2008 addirittura deputato (e senatore da quest’anno). E pensare che nel 2001 era andato vicino all’autodistruzione. Sempre quel brutto vizio di voler finire sui giornali: il nostro spiegò con grande candore a La Stampa di aver messo in contatto una società nazionale che faceva capo ai Ds con alcuni imprenditori di Torino interessati ad aprire una sala Bingo. “I Ds non si occupano di Bingo”, reagì indignato il segretario regionale Pietro Marcenaro. “Un peccato di ingenuità”, si giustificò lui. Di recente, Esposito ha scoperto nella battaglia a favore del Tav il terreno su cui regolare i suoi conti col culturame troppo soddisfatto di sé e disinteressato a lui: solo che la guerriglia che ha ingaggiato con il movimento contro l’Alta velocità e qualunque suo fiancheggiatore è ormai degenerata. Il no-Tav esagitato lo minaccia, anche fisicamente, il nostro – suo simile, suo fratello – arriva a inneggiare alle manganellate. Risultato: Esposito è finito sotto scorta. “Me l’hanno imposta una decina di giorni fa, dopo che l’avevo rifiutata per cinque volte”, ci ha tenuto a precisare, probabilmente per quella faccenda delle palle.

 

ORA SI DEDICA alla difesa di Luciano Violante, quello che sul caso Berlusconi vuole il ricorso alla Consulta o alla Corte Ue. A scelta. Ha scritto – con altri otto senatori Pd – una lettera per spiegare ai militanti che sul caso Berlusconi urge dibattito, “anche aspro”. Ha poi scolpito per Repubblica : “È ora di finirla con questi atteggiamenti cripto-grillini. Chi ha critiche da rivolgere è invitato a farle di persona”. S’è ritagliato, insomma, il ruolo di scudo umano dello scudo umano. Ieri ha tentato, per così dire, di spiegarsi via Twitter palesando seri limiti di organizzazione razionale del discorso: “Come ho scritto da giorni io voterò la decadenza, ma sono interessato a capire le opinioni di chi la pensa in modo diverso. Chiaro?”. Logica obiezione: “Scusa, ma se hai già deciso cosa vuoi ascoltare ancora?”. Replica: “Io sono cresciuto in un partito che ha sempre fatto del confronto una stella polare”. Ah, lo fa per amore del dibattito. Questo Stefano Esposito deve essere solo un omonimo di quello che ha chiesto l’espulsione dei sindaci No-Tav dal Pd o che minacciò di andarsene dal gruppo se qualche collega avesse votato in dissenso sul caso Ablyazov. Il dibattito no, diceva Nanni Moretti (ma non lo nominate al povero Stefano).