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San Didero: il cantiere del nuovo autoporto può rimettere in circolo i veleni

Ci sono forti rischi sanitari nel movimentare oggi i terreni in cui giacciono rifiuti tossici e strati di inquinanti rilasciati in passato dalla locale acciaieria,

già responsabili di un tasso di mortalità in zona ben superiore alla media

 

11 Novembre 2020

(a cura di notavtorino.org)

 

Nel 2013 il progetto definitivo della tratta internazionale del Tav Torino-Lione individua la località Baraccone, nel comune di San Didero, quale nuova sede dell’autoporto a servizio della A32: si tratta di una porzione di territorio, sito tra l’autostrada e la statale 25, degradato da ruderi edili incompleti e depredati intorno ai quali, negli anni, si è sviluppato un bosco spontaneo.
Da subito questa scelta allarma fortemente i Sindaci dell’area, per l’impatto che avrà la nuova infrastruttura in fase di cantiere e di successivo esercizio, ma anche perché riapre l’enorme problema di salute dei cittadini costituito dall’inquinamento dello strato superficiale dei terreni, che la locale acciaieria ha provocato in 54 anni di attività.

 

Una “piccola Ilva”, posta al centro di un territorio comprendente San Didero, Bruzolo, Villarfocchiardo e Borgone, nata nel 1960 e gestita via via da ditte diverse fino alla chiusura avvenuta nel 2014; un impianto che ha portato anche in Val di Susa l’eterno conflitto tra la salute da un lato e l’occupazione (350 dipendenti) dall’altro.
Volume e densità dei fumi costantemente emessi dalla fabbrica erano da sempre visibili a kilometri di distanza, e destarono fin dai primi anni ‘70 l’allarme tra i cittadini più sensibili al nesso stretto tra ambiente e salute, che col tempo si organizzeranno nell’attivissimo Comitato Emissioni zero.
Petizioni e raccolte firme denunciarono a più riprese il problema alle amministrazioni locali, fino a che, nel 1994, ben 17 Sindaci della bassa valle denunciarono la situazione in un esposto.

 

Si deve però aspettare fino al 2003 per vedere l’Arpa avviare un’indagine, lunga un anno, che evidenzierà la presenza al suolo di una forte contaminazione da diossine e soprattutto Policlorobifenili (PCB), che in certi punti superano anche di 56 volte il limite di legge consentito per le aree abitate. Sono sostanze cancerogene e teratogene (malformazioni del feto) persistenti, con tempi di "dimezzamento" di vari decenni, che non vengono dilavate dall’acqua, ma che si concentrano nelle sostanze grasse, come latte e derivati. L’erba brucata da bovini, ovini e caprini porta gli inquinanti nella catena alimentare fino all’uomo.
Si impone, di conseguenza, la necessità di una seconda indagine, questa volta epidemiologica, per appurare quanto l’inquinamento accertato porti conseguenze nello stato di salute degli abitanti: la chiede a gran voce il Coordinamento Sanitario dei 100 medici di base valsusini.

 

L’ente Provincia ingaggia un tira-e-molla che durerà anni con l’acciaieria per l’installazione di filtri e depuratori dei fumi, col corollario dei consueti, continui ricatti occupazionali. Intanto gli amministratori locali si trovano a dover affrontare un problema enorme, che riguarda la salute dei cittadini, l'occupazione, le attività agricole, zootecniche e di trasformazione. In 5 fattorie della zona è accertata la presenza di diossina nel latte, e la Regione ne vieta a lungo la vendita, come anche per burro e formaggi: un danno molto grave per gli incolpevoli allevatori, a cui vengono promessi indennizzi, ma più in generale per l’immagine dei prodotti locali della valle. Il dilemma che riguarda presente e futuro è: salute o lavoro? Industria o agricoltura?

 

Ad inizio 2005  l’ARPA-Piemonte comunica i primi risultati dello studio epidemiologico-statistico sulla mortalità e sull’incidenza dei tumori nel territorio, che mette a confronto i dati medi del Piemonte con quelli dei quattordici comuni situati in un raggio di 10 Km dall’acciaieria Beltrame: qui si supera decisamente la media, con “eccessi di patologie per le quali esistono in letteratura evidenze di incremento di rischio in relazione a esposizione a Pcb e diossina “ . Il dato preoccupante, nello specifico areale di San Didero, è l’anomala incidenza di tumori allo stomaco ed al retto.

 

Purtroppo non è, tutto. Se si osservano più da vicino i terreni individuati dal progetto Tav per il nuovo autoporto si scoprono ulteriori ragioni di forte preoccupazione per la salute.
Era stata la Guardia di Finanza a rinvenire tra i ruderi del Baraccone, nel 2004, fusti contenenti oli ed altri rifiuti speciali e tossici sepolti sotto terra o coperti da grandi massi; i colpevoli furono individuati e processati, ma nel 2009 beneficiarono della prescrizione dei termini.

 

Si ripropone dunque in Val di Susa un altro “ordinario” caso di sfruttamento del territorio, dove prima hanno lucrato costruttori di opere rivelatisi inutilizzate, e poi criminali trafficanti di rifiuti tossici. Anche stavolta vi si torna, anni dopo, per collocare uno dei cantieri legati alla realizzazione di un’opera più grande e più inutile, il Tav.  (e si ripete quanto appena accaduto a Salbertrand, nell’alta valle, dove l’area degradata ha così tanto amianto ed altri inquinanti da imporre il trasferimento del cantiere in altra sede).

 

Oggi dunque San Didero, ma anche i Comuni limitrofi, rischiano che fin dalle operazioni preliminari  per l’autoporto venga rimesso in circolo il cocktail dei veleni presenti nel suolo del Baraccone: è necessario che nuovamente tutte le energie dei No Tav, degli ambientalisti, dei Sindaci e dei cittadini tornino a mobilitarsi in difesa della salute.

 

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Per approfondire la ricostruzione storica del caso di San Didero:

- su questo sito, partendo dall'indice cronologico

- sul sito notav.info per la storia dello sfruttamento della località Baraccone e per la ricostruzione delle fasi dell'inquinamento