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Fantasmi a San Didero: l'autoporto anni '70 abbandonato

[estratti da: San Didero, uno spazioporto (inquinante) che viaggia indietro nel tempo" pubblicato su notav.info il 15-10-2020]

 

Il territorio di San Didero è stato individuato come quello più adatto alla costruzione del nuovo autoporto. Per alcuni versi, almeno secondo la logica dei promotori, è stata una scelta obbligata data la pesante infrastrutturazione (sic!) della bassa valle. La piana dove dovrebbe sorgere la struttura, al confine tra i territori di San Didero, Bruzolo e Borgone è tra i pochi spazi “liberi”, o meglio è uno dei pochi luoghi dove insiste ancora un bosco di una certa entità nella pianura della valle. E’ a tutti gli effetti l’unico polmone verde della zona.

 

 

L’idea di installare un’infrastruttura del genere a San Didero comunque non è una novità, ma permane almeno fin dai primi anni ’70, tanto che, rullo di tamburi, un autoporto in quella zona era già stato costruito “quasi” completamente.

 

La struttura era praticamente pronta, con uffici arredati, sanitari ed infissi, ma si decise che fosse più “funzionale” avere l’autoporto a San Giuliano di Susa. La costruzione fu dunque abbandonata a se stessa nella classica logica speculativa e ad oggi rimane un affascinante, ma devastante scheletro di cemento e mattoni vuoto in mezzo al bosco.

 

 

 

Dalla cronaca degli anni '70

 

“COMINCIATI A SAN DIDERO I LAVORI PER L’AUTOPORTO (100mila metri quadri)”. No, i lavori non sono iniziati veramente, o meglio non sono iniziati i lavori di questo autoporto. Il titolone che riportiamo qui sopra è di un articolo apparso su La Stampa il 16 settembre 1977. Si, ben 43 anni fa la busiarda (la bugiarda, così viene chiamata La Stampa dai Torinesi - ndr-) annunciava in pompa magna che “le interminabili code di autotreni ed autoarticolati alla dogana di Via Giordano Bruno [a Torino]erano “destinate a diventare un ricordo”. Si spinge anche più in là, prevede che il nuovo autoporto di San Didero sarà pronto e funzionante per la primavera del 1979.

 

L’autoporto sarebbe dovuto nascere su iniziativa di privati, la “Autoporto Torino San Didero Spa”, composta da spedizionieri, commercianti e industriali torinesi. L’infrastruttura avrebbe dovuto provvedere ai controlli doganali per 500 autotreni al giorno. Il territorio di San Didero venne scelto perché pianeggiante e facilmente connettibile alle due statali. Nonostante le idilliache premesse però, e qui è necessario fare attenzione, Giancarlo Carpaneto presidente della società lamenta che i rapporti con le istituzioni territoriali non sono propriamente buoni: “Abbiamo presentato il progetto dell’autoporto a entrambi [Regione e Comunità Montana della Bassa Valle], ma non abbiamo trovato molto entusiasmo. Così siamo andati avanti da soli. Ma siamo tuttora disponibili alla collaborazione e alla partecipazione. Non si tratta di una speculazione privata (sic!), ma di un’iniziativa destinata a portare benefici a tutti (sic!!). A cominciare dagli oltre cento posti di lavoro che si renderanno disponibili (strasic!!!).” Suona familiare questo discorsetto? Si ha la sensazione che Telt tiri fuori da schedari impolverati di quarant’anni fa non solo i progetti per le sue opere “rivoluzionarie”, ma anche le balle con cui confezionarli.

 

i tempi di costruzione dell’opera si dilungano e ovviamente la primavera del ’79 fa in tempo ad appassire. Si ritorna a parlare dell’autoporto di San Didero su La Stampa l’11 Dicembre del 1981 in un articolo sui disagi generati dai controlli doganali al di là del confine con conseguente protesta dei trasportatori, ma i toni sono decisamente meno trionfalistici.

E ancora nell’83, questa volta in un trafiletto sui nuovi poli commerciali in valle per “spennare i turisti” (parole di La Stampa), leggiamo che gli amministratori hanno indicato la trasformazione dell’autoporto di San Didero in un centro di assistenza ai veicoli pesanti in transito.

 

Da allora l’autoporto di San Didero è rimasto lì, quasi finito, ma inutilizzato, esposto alle intemperie e denudato di ogni oggetto di qualche valore. E’ diventato patrimonio di writers in cerca di muri tranquilli dove sperimentare la propria arte e monumento, obbrobrioso, alla stupidità del libero mercato e delle lobbies del cemento.