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“Vaccinazioni di massa” in Val Susa

di Ezio Bertok da Volerelaluna del 21-04-2021

https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2021/04/21/vaccinazioni-di-massa-in-val-susa/

 

L’assuefazione al sopruso, la stanchezza per decenni di lotta che prima o poi cade addosso, gli anni che pesano sulle spalle dei più anziani, le accuse infamanti che pesano più degli anni e la dura repressione, il rischio della rassegnazione sempre in agguato. E poi la fiducia nella democrazia e nelle istituzioni messa ripetutamente a dura prova e il panorama politico sempre più desolante. La convinzione che nel dopo Covid niente dovrà essere uguale a prima, la speranza che cede il posto all’illusione e il dubbio fondato che tutto possa essere peggio di prima. E le continue prove di forza, l’ultima subita nella notte pochi giorni prima, le ferite ancora aperte che si aggiungono a quelle appena rimarginate, l’umiliazione, il senso di impotenza, la rabbia, l’incredulità e nuovamente la rabbia da tenere sotto controllo. Tutti questi pensieri si mescolavano nella testa di chi si stava avvicinando al grande “centro vaccinale” aperto a tempo di record a San Didero.

 

Numerosi volontari con pettorina gialla regolavano il traffico, suggerivano uno spazio per parcheggiare e indicavano la direzione per proseguire a piedi lungo la stradina che si snoda tra muri a secco e prati su cui pascolano mucche incuriosite dall’inaspettata folla e indifferenti alle diossine della vicina acciaieria: in un paio d’ore oltre 4.000 persone avrebbero ricevuto una dose di rinforzo di vaccino. Non c’era stato il tempo di programmare la somministrazione delle dosi, nessun sistema di prenotazione era stato attivato, tutto era stato deciso in fretta non senza qualche contrasto su come rispondere più efficacemente all’emergenza senza rinunciare a guardare lontano.

 

Avvicinandosi al “centro vaccinale” ognuno, guardandosi intorno, si sorprendeva nel vedere volti che non vedeva da tempo, provava sollievo e intuiva che il pomeriggio sarebbe stato interessante e difficile da dimenticare. Pochi giorni prima c’era stato il blitz che aveva portato alla conquista manu militari di una bella fetta di prati e rado bosco tra la statale 25 e il fiume Dora con l’obiettivo di recintare un’area su cui dovrebbe nascere un nuovo autoporto. L’amministrazione comunale di San Didero, il giorno dopo, aveva scritto:

«È vergognoso quello che è successo nel centro abitato di San Didero martedì 13 aprile. Lacrimogeni sparati nei cortili delle case, campi di grano calpestati, candelotti di lacrimogeni sparsi nei prati, di cui taluni inesplosi, un pericolo per le persone e i bambini che vogliono muoversi nel verde e non ultimo per gli animali al pascolo. Un paese sotto assedio. L’Amministrazione Comunale di San Didero si stringe ai suoi cittadini, esprimendo rammarico e rabbia allo stesso tempo per l’uso improprio di forze dell’ordine che, per difendere un cantiere sulla SS 25 distante 1,5 chilometri dal centro abitato, si sono spinte all’interno del paese, spargendo il panico fra i residenti. In questo modo si calpestano i diritti, sia dei cittadini sia degli amministratori che rappresentano la comunità».

 

Come sempre è tutto un altro film rispetto a quello mandato in onda dalle varie tv e riportato dai grandi quotidiani alla ricerca di una pietra lanciata da chi tenta di resistere all’invasione: su questi schermi le truppe sono sempre schierate ordinatamente, attente solo a difendersi dagli attacchi di orde di incappucciati violenti.

 

La sala triage del grande “centro vaccinale” era stata allestita all’esterno del salone polivalente di San Didero, come sempre di questi tempi è d’obbligo aggiungere «in totale sicurezza e nel pieno rispetto delle norme anticovid». A un tavolo il sindaco di San Didero, il vicesindaco di Bruzolo, il presidente dell’Unione montana, un insegnante, un naturalista e due professori universitari. E ad ascoltarli un numero crescente di valsusini, centinaia: seduti nelle sedie opportunamente distanziate, seduti in terra, in piedi tutt’intorno e lungo la rampa che porta alla strada che poi scende verso la statale 25 chiusa «per motivi di ordine pubblico».

 

Tra l’abbaiare dei cani nei giardini delle case vicine e le corse dei bambini nel piazzale il sindaco ha raccontato l’accaduto e ha accennato alle umiliazioni subite di fronte al prefetto che prontamente lo aveva convocato per richiamarlo all’ordine. Applausi. Applausi anche al vicesindaco di Bruzolo e poi al presidente dell’Unione montana che rilevava, tra l’altro, che la prima opera costruita per far passare un treno che dovrebbe togliere i tir dalle strade sarà proprio un autoporto per i tir. Sembra una beffa ma è così. Notare che l’autoporto a San Didero era già stato costruito quarant’anni prima, esattamente nello stesso luogo. Era stato completato e poi era stato deciso che non serviva e il giorno dopo se n’era costruito un altro dieci chilometri più a monte cementificando così il doppio. Il gigantesco edificio dell’autoporto fantasma di San Didero era diventato in poco tempo fatiscente e ora, sul tetto, un piccolo gruppo di no Tav cercava di resistere allo sgombero.

 

Dopo gli applausi agli amministratori la parola era andata ai quattro tecnici, tutti esponenti di una commissione nominata dalla stessa Unità montana. E giù a sciorinare dati e a elencare le tante irregolarità procedurali legate al progetto del nuovo autoporto (https://volerelaluna.it/tav/2021/04/16/pensavo-fosse-un-treno-invece-era-un-camion/). Sul tavolo dei sindaci e dei tecnici erano allineati una ventina di candelotti lacrimogeni raccolti nei cortili delle case e nei prati nei giorni precedenti: solo un piccolo campionario, s’intende. Quasi due ore di triage, ma nessuno mostrava insofferenza per l’attesa, al contrario si compiaceva di venire coinvolto per essere informato.

 

Poche settimane prima, anche in vista dell’annunciato arrivo a San Didero di un nuova variante del virus, era stato effettuato un test di massa sui vaccini proprio a Chiomonte dove era presente dal 2011 un focolaio particolarmente resistente: il virus aveva colpito per la prima volta a Venaus anni prima, un vaccino era stato scoperto in fretta e aveva risolto un situazione difficile. Poi, negli anni successivi, il virus era ricomparso qua e là ma l’epidemia vera e propria era stata dichiarata a Chiomonte. Fin da subito tra virologi ed epidemiologi era nata grande confusione ma quasi sempre il problema era riconducibile al solito vecchio conflitto di interessi e i media facevano a gara nel dare spazio a coloro che confondevano il virus con il vaccino e il “laboratorio” Valsusa assumeva così significati opposti: laboratorio di democrazia per una parte, laboratorio di sperimentazione di nuove tecniche repressive dall’altra. Per i valsusini gli obiettivi erano, come sempre, principalmente due: combattere il virus (quello vero) e combattere l’ignoranza, la disinformazione e il pregiudizio. Una battaglia dura, combattuta ad armi impari.

 

Ma tornando a Chiomonte e al test delle settimane precedenti: quella che avrebbe potuto risolversi in un normale attacco di burocrazia vessatoria in cui poche cavie sarebbero state sacrificate da medici spregiudicati era stato trasformato in una grande occasione di partecipazione attiva e responsabile (https://volerelaluna.it/tav/2021/02/26/marziani-in-val-di-susa/). Le cavie si erano moltiplicate a dismisura su base volontaria e per gli aspiranti Lombroso era stata una sofferenza: un piccolo esperimento crudele si era trasformato in un test di massa in cui le cavie avevano alzato la testa sussurrando maliziosamente «sarà düra». Molte di queste cavie si sarebbero ripresentate a San Didero portando parenti e amici, il test di massa aveva dato esiti positivi e avrebbe contribuito all’affollamento del “centro vaccinale” di San Didero.

 

Dopo il triage è stata subito meraviglia.

Oltre 4.000 persone, la maggior parte valsusini, vincevano la paura dando vita a un grande corteo in cui era immediato cogliere la forza di una nuova forma di disobbedienza civile. Vale la pena ricordare in proposito quanto aveva scritto su una rivista specializzata la costituzionalista Alessandra Algostino analizzando i vari Dpcm così di moda da oltre un anno. A proposito della «inedita, almeno dal punto di vista della Costituzione, distinzione fra manifestazioni in forma statica – si potrebbe chiosare, i presidi – e “in forma dinamica” – i cortei” ‒» la professoressa rilevava l’introduzione di «una forma inedita di restrizione in via generale e preventiva, se pur nei limiti temporali di vigenza del decreto, della libertà di manifestazione, quando essa appare come riunione in movimento, ossia corteo».

 

Da costituzionalista, si chiedeva se ci fosse «un bilanciamento proporzionato e ragionevole fra il diritto alla salute e il diritto di riunione» concludendo che, ferma restando la necessità di regole di distanziamento volte a contenere la diffusione del Covid-19, «non pare né ragionevole né proporzionato il divieto di cortei» e notava la contraddizione tra il fatto che fossero consentiti «assembramenti (riunioni casuali) sui mezzi di trasporto» e venissero vietati i cortei, tra cui quelli in difesa del posto di lavoro. Quasi non fossimo in una Repubblica fondata sul lavoro. E si chiedeva: «nel momento in cui non è ristretta la libertà di circolazione, non sono limitate le attività produttive, perché le manifestazioni devono essere solo statiche?».

 

Gli oltre 4.000 di San Didero si erano dati la risposta. Qualche malizioso potrà notare che, confrontati con le decine di migliaia di cui la Val Susa ci ha abituati negli anni, i 4.000 che si muovevano in corteo da San Didero son poca cosa. Ma il ragionamento non tiene conto dei timori legati al Covid e soprattutto dei pensieri di cui parlavo all’inizio che giravano nella testa di coloro che erano venuti per la somministrazione del solito vecchio vaccino: la fiducia nelle proprie forze e nella forza della ragione. Gli stessi timori e gli stessi pensieri che in questa occasione avevano tenuto lontani altri già pronti però a vaccinarsi alla prossima occasione. Fatto sta che, non avendo avuto il tempo di organizzare le cose in grande, la cosa era diventata grande da sola e “soltanto” 4.000 persone respiravano ora a pieni polmoni un’aria nuova. Tanti giovani e persone di ogni età, bambini liberi di correre e cani tenuti al guinzaglio. E dall’altra parte della ferrovia le truppe schierate con aria minacciosa che venivano ignorate dal corteo che svoltava verso Bruzolo e poi sulla strada statale verso San Giorio.

 

Il prof. Tartaglia, di inossidabile e ben documentata fiducia nelle regole democratiche, in riferimento alla imponente militarizzazione ha parlato di «truppe coloniali» e di «occupazione militare da parte di forze armate dello Stato» e si è chiesto: «Quale fiducia si pensa possa esserci, in queste condizioni, nello Stato? E a cosa si è ridotta la credibilità della politica?». Che le definizioni fossero azzeccate e le domande ben poste se ne avrebbe avuto conferma la sera stessa in cui le truppe coloniali di occupazione avrebbero ripreso l’abitudine di sparare candelotti lacrimogeni ad altezza d’uomo: questa volta a farne le spese sarebbe stata una ragazza colpita in pieno volto subendo numerose fratture ed emorragie cerebrali.

I generali avrebbero poi negato l’evidenza lasciando intendere che la ragazza si sarebbe scagliata volontariamente a testa bassa contro un oggetto non identificato procurandosi qualche graffio. Tant’è che volevano interrogarla subito nella stanza dell’ospedale. La storia si ripete da anni. Non sono pochi coloro che hanno subito gravi danni permanenti. Siamo in tanti a chiederci come sia possibile che così pochi tra coloro che guardano i TG, seguono i talk show e leggono Stampa e Repubblica non si interroghino su come sia possibile che un candelotto che dovrebbe essere usato per spargere sostanze urticanti al fine di tenere lontani potenziali aggressori possa essere usato come proiettile. Eppure le prove non mancano, non mancano i video che lo documentano e non mancano le voci di carabinieri che si vantano con i commilitoni dicendo: «Sì, ne ho tirati due in faccia!». Qualcuno si è preso la briga di raccogliere un ricco dossier: vedere per credere (https://www.notav.info/post/il-tiro-al-notav-da-parte-delle-forze-dellordine-e-prassi/). Ma si sa, sul piano mediatico la lotta è impari.

 

Del candelotto danneggiato da una ragazza che lo avrebbe colpito con lo zigomo, il corteo partito da San Didero ancora non poteva sapere, anche se qualcuno parlava della ragazza colpita sul petto la sera precedente, per fortuna con minori danni. Nel corteo prevaleva ora la gioia del ritrovarsi nuovamente in tanti, il vaccino mostrava già i primi effetti e lo sguardo andava ai prossimi mesi e ai prossimi anni. Questo corteo colorato, con tanta gente “normale”, quella stessa di cui si ricordano i partiti solo in campagna elettorale, quella cancellata dai grandi media, questo corteo era un grande segnale di ripresa di un viaggio che, come recita il titolo di un libro «non promettiamo breve». I trattori nei prati intorno incrociavano il corteo e sopra le teste volteggiavano parapendii mentre il sole tramontava dietro alle montagne. Anche queste immagini a colori (https://photos.app.goo.gl/1UjVLN2EiZoie1qa7) stridono con il bianco nero delle immagini cupe e minacciose mostrate in tv.

 

Il popolo no Tav, con grande delusione di chi lo vorrebbe sull’orlo di una crisi di nervi a causa delle continue angherie subite negli ultimi trent’anni, non si è dunque fermato: i tanti anziani presenti nel corteo partito da San Didero ne sono la conferma; i tanti giovani sono l’evidenza di un continuo ricambio generazionale. Giovani e vecchi stanno ricostruendo rapporti a volte logorati con amministratori stanchi e pigri, anche se quelli vivaci non mancano di certo. Sono segnali confortanti anche per molti che guardano alla Val Susa come a un luogo che non si piega di fronte alla dittatura del pensiero unico, un luogo in cui la forte repressione non riesce a cancellare il diritto al dissenso, un luogo in cui la solidarietà non è parola vuota anche nei confronti dei migranti che vi transitano alla ricerca di un futuro. Di questi argomenti, e non solo di Valsusa, si parlerà, tra l’altro, giovedì 22 aprile alle 16 in un appuntamento, organizzato, insieme a diverse altre associazioni, dal Controsservatorio Valsusa, che potrà essere seguito in diretta streaming: https://youtu.be/phegbdRB_Hc

 

Intanto in Val Susa ci si gode l’effetto del vaccino, domani è un altro giorno e si vedrà. L’amministrazione comunale di San Didero scrive nel suo appello-denucia:

«Non ci è dato sapere cosa accadrà con questa militarizzazione chiamata a difendere un cantiere che costerà oltre 50 milioni di euro [il riferimento è ovviamente solo all’autoporto, opera preliminare del Tav, ndr]; certo è, che, in un momento di crisi emergenziale dovuta alla pandemia, dove non arrivano i vaccini per il Covid-19, dove il lockdown ha fatto sì che chiudessero imprese e attività commerciali, nella piana di San Didero-Bruzolo vengono inviate delle truppe di occupazione. Come si può parlare di tutela ambientale, transizione ecologica, come si può pensare che quest’opera possa contribuire a migliorare la vita dei cittadini?»

 

E qui il riferimento, implicito ma chiaro, non è soltanto all’autoporto.