Seminario

TAV e modello di sviluppo

 

Torino, 10 Dicembre 2005

 

Gli investimenti pubblici nelle infrastrutture non rilanciano l’economia italiana

Intervento di STEFANO LENZI

 

Stefano Lenzi è responsabile dell’Ufficio istituzionale e legislativo del WWF Italia - Onlus

 

E’ 15 anni che sentiamo parlare di Alta Velocità, e la si confonde strumentalmente con il rilancio delle ferrovie. Ci sarà un motivo perché questo avviene, e ci sarà un motivo per cui, ancora oggi, abbiamo a che fare con questo progetto che non regge dal punto di vista economico, trasportistico, sociale e ambientale. Io credo che il progetto dell’Alta Velocità, come hanno già ricordato altri nei loro interventi, abbia molta più attinenza con il finanziamento della politica che con il ricercare, trovare e individuare, delle soluzioni per i problemi della mobilità e dei trasporti in Italia.

 

La storia dell’Alta Velocità inizia in realtà alla fine degli anni ’80, con i ministri del bilancio Cirino Pomicino e dei trasporti Signorile, e viene perfezionata nei primi anni ’90 con l’affidamento a trattativa privata dell’affare del secolo alle grandi aziende italiane (IRI, oggi Fintecna, ENI e FIAT), prima che entrino in vigore le regole europee che rendono obbligatorie le gare internazionali.

 

Un simulacro di verifica sui costi esorbitanti del sistema dell’AV avviene, poi, solo nell’autunno del 1996, dopo che nell’estate di quell’anno, viene arrestato Necci (allora presidente di FS e di TAV SpA) e si scoprono le connessioni con il finanziere d’assalto Pacini Battaglia e con il finanziamento illecito dei partiti. Nell’autunno del 1996 i gruppi parlamentari dei verdi e di rifondazione comunista chiedono la verifica parlamentare sull’Alta Velocità, che il ministro dei Trasporti del Governo Prodi, Burlando si affretta a chiudere solo pochi mesi dopo l’arresto di Necci. Nel febbraio 1997 il ministro Burlando nella sua relazione al Parlamento, dichiara sostanzialmente, che l’Alta Velocità non ha alcun problema tecnico e finanziario. L’unica, strumentale, presa di distanza contenuta nella relazione del ministro è puramente nominalistica: alta velocità per i passeggeri e alta capacità per le merci cono termini equivalenti. Ma, per Burlando nulla cambia: le  nuove linee devono essere costruite per il bene del Paese.

 

In tutti questi anni l’unico serio ripensamento è avvenuto alla fine del 2000, quando ministro dei Trasporti del Governo D’Alema era Bersani, che con un articolo inserito nella Legge Finanziaria 2001 ha cancellato le concessioni e i contratti di sub-concessione, per i general contractor della Milano-Verona, della Milano-Genova, della Verona-Venezia o Verona-Padova. Quello è stato un momento di rottura in cui, finalmente, è stato posto il problema dell’architettura contrattuale ed economico-finanziaria dell’AV. Non si metteva i discussione l’AV come scelta di fondo, ma è stato un momento di ripensamento importante.

 

Poi, nel 2001, è venuto il governo Berlusconi, che ha resuscitato le concessioni ai GC con il collegato alla Finanziaria 2002 e ha tentato di superare tutti gli ostacoli con i meccanismi autorizzativi, semplificati e accelerati, della cosiddetta Legge Obiettivo e di occultare gli oneri per i conti pubblici del finanziamento per l’AV con l’invenzione di Infrastrutture SpA.

Il presidente del Consiglio Berlusconi e il ministro dei trasporti e delle infrastrutture Lunardi, in questi cinque anni hanno puntato sulla realizzazione delle infrastrutture come investimento prioritario per il Paese, sino, addirittura, ad identificarlo nel DPEF 2005-2008  come la principale misura anticiclica per il rilancio economico dell’Italia.

A cinque anni dall’inizio di questa legislatura, mentre  continua ad aumentare il rapporto deficit–PIL (oggi al 4% circa) e il nostro debito pubblico (che viaggia attorno al 107%), credo sia chiaro a tutti che la formula su cui è stata improntata l’azione del Governo Berlusconi sia palesemente fallita.

E se vogliamo trarre tutte le conseguenze, c’è da dire che se il Paese è ridotto così, con la progressiva perdita della competitività, lo dobbiamo, anche e soprattutto, al perseguimento di quel principale obiettivo economico-politico. Un obiettivo che è stato perseguito senza tener in alcun conto, prima ancora della sostenibilità ambientale delle scelte effettuate, delle stesse compatibilità economico-finanziarie.

 

In Val di Susa, quindi, non ci si confronta solo sugli aspetti critici del sistema dell’AV, ma sugli orientamenti economici di fondo per il rilancio del Paese e sul modo con cui sono state formulate e selezionate le scelte prioritarie e gli obiettivi, al di fuori di qualsiasi panificazione e programmazione degli interventi.

 

Infatti, a pochi mesi dal momento in cui si è insediato il nuovo Governo nel dicembre 2001, sono stati varati la legislazione speciale (l. n. 443/2001) e il primo programma delle infrastrutture strategiche (delibera CIPE n. 121/2001). La prima cosa che il Governo Berlusconi ha fatto è stata annullare l’efficacia del Piano generale dei Trasporti e della Logistica (PGTL), dando un colpo di spugna a un dibattito durato venti anni, che aveva consentito di definire, finalmente, le linee generali degli interventi necessari per la mobilità e la logistica del Paese. Il PGTL veniva superato, semplicemente, dall’elenco infinito di opere contenuto nel programma compilato dal ministro Lunardi.

Gli investimenti necessari per realizzare quel programma venivano calcolati nel dicembre 2001 in 125,8 miliardi di euro, mentre ad oggi (luglio 2005) l’Ufficio Studi della Camera insieme al CRESME, li valutano, con le marginali integrazioni introdotte negli ultimi DPEF, attorno ai 264 miliardi di euro (per realizzare ben 235 opere e 531 progetti), a dimostrazione che nessuno, men che meno il Governo, ha selezionato le priorità e ha il reale controllo della situazione

Il Governo e la maggioranza che lo sostiene hanno perfezionato, con il decreto legislativo n. 190/2002, una cabina di regia all’interno del Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica  (CIPE), una sorta di comitato d’affari istituzionale, che autorizza le singole opere, dando un giudizio di compatibilità ambientale sul progetto preliminare. Hanno, così di fatto, annullato l’autonomia tecnica della procedura di Valutazione di Impatto Ambientale e hanno semplificato tutti i vari passaggi decisionali, eludendo la difficile concertazione sul territorio. I meccanismi decisionali derivanti dalla Legge Obiettivo emarginano gli enti locali: ne sa qualcosa la Val Susa, in cui gli Enti Locali hanno dovuto coalizzarsi per avere voce in capitolo sul progetto  di AV passeggeri della Torino-Lione. Le conferenze dei servizi –  strumento peraltro con dei limiti, soprattutto quando si decide a colpi di maggioranza– nella fase della progettazione preliminare non vengono neppure convocate. Non esiste più alcuna sede politica e istituzionale in cui compiere un confronto tecnico.

Infine, hanno anche reso inoffensiva la giustizia amministrativa, creando una sorta di tribunale speciale (il TAR del Lazio, cui competono tutti i contenziosi riguardanti le infrastrutture strategiche) che deve tener conto, nel suo giudizio, secondo quanto stabilito nel decreto attuativo della Legge Obiettivo, del preminente interesse nazionale alla realizzazione dell’opera (art. 14 del D.Lgs. n. 190/2002). Il TAR del Lazio e il Consiglio di Stato, stanno seguendo con grande solerzia questa indicazione, e tutti i ricorsi sulle grandi opere, come quelli sulla linea ad AV passeggeri  Torino–Lione, vengono respinti. Coloro che impugnano le decisioni assunte dalla pubblica amministrazione in tema di infrastrutture sono resi inoffensivi.

 

Tuttavia, la situazione in cui versa oggi il Paese obbligherebbe ad abbandonare programmi folli che, come abbiamo già ricordato, prevedono investimenti per complessivi 264 miliardi di euro e che solo per l’AV ad oggi stimano costi di 94 miliardi di euro. Le difficoltà economiche strutturali in cui versa il nostro sistema economico-produttivo e il vero e proprio tracollo della finanza pubblica obbligherebbero a riscrivere le priorità. Renderebbero urgente e necessario che venga posta una cesura rispetto ai processi decisionali sperimentati in questi cinque anni e che si proceda alla cancellazione dei meccanismi attivati dalla Legge Obiettivo.

 

Meccanismi che creano e consolidano un mercato protetto per le grandi aziende di costruzione e per i grandi studi di progettazione, attraverso la nuova formula del general contractor, e il rafforzamento dei concessionari autostradali. Si ipotizza e in parte si realizza, così, un sistema neo-corporativo che vede il Governo, al centro del sistema, interloquire direttamente con pochi referenti selezionati, che cercano il proprio tornaconto, garantendo un tornaconto alla politica.

 

Ed ecco che in Italia si continua, inspiegabilmente, a perseguire la scelta di poche nuove costosissime e dannosissime linee per l’AV passeggeri, quando su 15.923 km di linee ordinarie soltanto 6.363 km sono a doppio binario, e 5.603 km a doppio binario ed elettrificati. Quando in  Francia e in Germania la rete a doppio binario ed elettrificata è di circa 16.000 km: quanto tutta la nostra rete ferroviaria. Rete ferroviaria che, come è noto a tutti i pendolari, sia per quanto riguarda il materiale rotabile che per lo stato dell’infrastruttura, è ormai all’infarto, avendo già superato da tempo la fase del collasso. Ma, la crisi economico-finanziaria e l’assurdità, in questo contesto, del Sistema dell’AV non porta a più miti consigli né nel centro destra, né nel centro-sinistra.

 

A maggio 2005 abbiamo incontrato  il presidente della Commissione Trasporti del Parlamento europeo, nonché autorevole esponente della Margherita, Paolo Costa, il quale, quando gli abbiamo fatto notare, viste le difficoltà dell’Italia, che forse sarebbe il caso di ripensare le priorità di investimento, ci ha risposto che per i grandi progetti infrastrutturali non c’è limite economico-finanziario che tenga. Scorrendo, poi, il programma per le primarie dell’Unione del candidato premier Prodi leggo nero su bianco che, a suo avviso, sarebbe necessario completare le opere già avviate e attuare il programma per le infrastrutture del Paese. Prodi, forse, non sa che così si ripromette di dare continuità alla disastrosa politica sin qui intrapresa da Berlusconi. Nel nostro mondo politico c’è, evidentemente, qualcosa che non va.

C’è davvero da augurarsi che nel documento programmatico dell’Unione in via di definizione ci sia un chiaro segnale di discontinuità rispetto alle politiche e ai programmi definiti nella XIV legislatura e che questo profondo e necessario ripensamento porti frutti nel tempo, sino all’epoca del voto previsto nell’Aprile del 2006. Se questo non  avvenisse, ci sarebbe di che preoccuparsi.

 

In questa situazione, le istituzioni europee sono ancora un punto di riferimento. Certo, bisogna ricordarsi che la nuova lista delle reti transeuropee di trasporto (TEN-t) è stata definita senza che si facesse una valutazione ambientale strategica e senza tener in buon conto le reali disponibilità dei paesi membri (tant’e’ che si è deciso di investire 600 miliardi di euro su 30 progetti prioritari su scala continentale) in un contesto in cui la vecchia Europa dei 15  ha imposto le sue scelte prima del voto che avrebbe portato all’allargamento della UE alla nuova Europa a 25.

Detto questo, c’è però da dire che a Bruxelles come a Strasburgo esiste ancora un sistema di garanzie che permette di conseguire alcuni possibili risultati. Due risultati importanti in tema di infrastrutture sono venuti dall’Europa. Il primo è stato l’apertura dell’infrazione sulla procedura di valutazione ambientale accelerata e semplificata sul progetto preliminare, prevista del decreto attuativo della Legge Obiettivo. La Commissione Europea l’ha avviata il 20 Aprile 2004, ed è oggi in fase conclusiva, sostenendo come anche al momento della definizione del progetto definitivo sia necessario perfezionare la valutazione di impatto ambientale, garantendo l’informazione e la consultazione del pubblico.

Inoltre, nel marzo 2005 Eurostat (l’istituto di statistica europeo) ha deciso di non certificare i conti pubblici italiani del 2004,  rilevando, tra i sei punti che ha deciso di contestare, proprio i meccanismi di finanziamento dell’AV, garantiti da Infrastrutture SpA (ISPA)  e stabilendo che l’emissione di bond da parte di ISPA è discutibile, perché sottrae i fondi destinati all’AV dai controlli previsti della contabilità pubblica.

Anche la linea di condotta seguita dalla delegazione della Commissione Petizioni del Parlamento europeo, venuta per approfondire la vicenda della Val di Susa, dimostra come sia la Commissione che il Parlamento europei tengano, molto di più che le istituzioni e il mondo politico italiani, al rispetto delle regole in campo ambientale ed economico-finanziario.

 

Proprio facendo riferimento al quadro di garanzie comunitarie esistente, io credo che sia il caso di chiedere che sulla direttrice Torino-Lione si compia, ai sensi della Decisione n. 884/2004/CE del Parlamento del Consiglio d’Europa sulle nuove TEN-t e come richiesto dalla normativa europea, una valutazione transnazionale su un progetto definitivo, che tenga conto anche delle principali alternative, sino all’opzione zero. Io credo che non sia sufficiente che il Commissario europeo ai Trasporti Barrot nomini due tecnici indipendenti. L’Europa. A mio parere, si deve fare garante, insieme al Commissario all’Ambiente Dimas, di una procedura partecipata transnazionale di valutazione, superando il progetto preliminare approvato nel dicembre 2003 con la Delibera CIPE n. 113/2003, che presentava – come è stato dimostrato e rilevato anche dalla Commissione Petizioni del Parlamento europeo – profonde lacune ed omissioni tecniche (il giudizio positivo di compatibilità ambientale è corredato da 77 tra prescrizioni e raccomandazioni) e gravi difetti nel perfezionamento della decisione, per quanto attiene la trasparenza e il coinvolgimento democratico degli enti e delle popolazioni locali.

La strada europea mi pare che sia da imboccare visto che nel nostro Paese non si respira un clima politico-istituzionale rispettoso delle regole.

 

Infatti, il risvolto particolarmente negativo della situazione attuale è che si cominciano a riconoscere e individuare sul territorio anche i referenti del centro-sinistra per la gestione degli affari, più o meno leciti, in rapporto con il sistema delle imprese. Non si nascondono più, e la memoria torna ai “capi bastone”, che affollavano in particolare le fila dei democristiani o dei socialisti, negli anni tra il ‘60 e l’80.

In questa situazione molto delicata mi pare, quindi, che sia importante il modo con cui si costruisce il consenso e capire chi si intende coinvolgere in tale processo. E’ fondamentale che personalità autorevoli, come quella della presidente della Giunta della Regione Piemonte Bresso ne siano consapevoli, di fronte alla protesta di un’intera valle.

Infatti, anche nel centro-sinistra – come dimostrano i fatti recenti legati alle scalate finanziarie - comincia a pesare l’influenza di questo o quel gruppo di potere, che riesce a influire sulle decisioni e, alle volte, anche sui programmi politici.

E’ per questo che spero davvero ci siano delle chiare cesure rispetto alle nuove regole introdotte in questa legislatura.

 

Infine, rispetto alla manifestazione, visto che mi è capitato di essere il coordinatore dell’ufficio stampa del Genoa Social Forum, ed ho vissuto nel 2001 i fatti di Genova da vicino, una raccomandazione: cerchiamo di fare in modo che non sia organizzato un corteo che attraversi il centro cittadino, perché Torino non è come la Val Susa dove ci sono condizioni ambientali e sociali che consentono il controllo del territorio. Nei centri cittadini si può più facilmente esprimere l’infantilismo violento degli utili idioti, ma anche la maturità dell’antisommossa. Non mi pare proprio il caso di mettersi in una situazione del genere, vista l’ottima, pacifica esperienza maturata dal movimento nella valle.

Grazie.