“TAV in Val di Susa”: le ragioni (nascoste) del sì

1.
Credo che molti lettori, dopo quello che è accaduto nei giorni scorsi, abbiano dedicato qualche attenzione in più al tema “della TAV in Val di Susa” – cercando in primo luogo di capire le “ragioni del sì”. In una democrazia le politiche pubbliche vengono delegate – e non potrebbe essere altrimenti. Vengo delegate ai politici, alle burocrazie e ai saperi esperti. In una democrazia i cittadini hanno un pre-giudizio di razionalità nei confronti delle decisioni pubbliche. La maggior parte di loro pensa che le decisioni siano razionali quanto basta, che siano state prese facendo buon uso della conoscenza rilevante e che vi sia un luogo virtuale dove questa conoscenza si è accumulata in forma di studi, rapporti, dati. Da questo luogo essa potrà essere all’occorrenza recuperata, divulgata, spiegata.

2.
Sono andato alla ricerca delle “ragioni del sì” (con i miei studenti del corso di “Analisi delle politiche pubbliche”) nei tre maggiori quotidiani italiani – il Corriere della Sera, La Repubblica e La Stampa – nei giorni del 7, 8 e 9 dicembre. Sono andato in primo luogo alla ricerca delle “ragioni del sì” perché si tiene un corso di “Analisi delle politiche pubbliche” sullo sfondo, appunto, di un pre-giudizio di razionalità delle decisioni pubbliche. Le politiche pubbliche sono razionali fino a prova contraria.
Ma lo si tiene anche sullo sfondo del principio che della razionalità delle politiche pubbliche, in una democrazia, si deve dar conto a richiesta. E una contestazione così forte, prolungata, condivisa era una richiesta di questo tipo. Quindi, non mi restava che mostrare agli studenti come le “ragioni del sì” del progetto infrastrutturale in Val di Susa venissero recuperate dagli archivi e dai documenti pertinenti, comunicate, spiegate – come esse poi affiorassero senza troppa fatica nel dibattito pubblico. Non restava, quindi, che sfogliare e discutere gli articoli più importanti nei maggiori quotidiani italiani dove queste ragioni le avremmo trovate, anche se solo accennate – quotidiani di indiscutibile autorità, ai quali una parte così rilevante dell’opinione pubblica si rivolge ogni giorno per orientarsi.

3.
Gli articoli che ho letto insieme ai miei studenti sui tre maggiori quotidiani italiani li hanno letti nelle stesse ore circa due milioni di italiani – più o meno con il nostro stesso intento: cercare le “ragioni del sì”. E in effetti – iniziando dall’articolo di Luciano Gallino (La Repubblica, 7/12) – la nostra esplorazione non poteva cominciare in modo migliore. Un articolo metodologicamente ineccepibile – che delineava lo schema concettuale all’interno del quale esporre le “ragioni del sì” (ed anche “le ragioni del no”). Da lì siamo partiti, dalle coordinate concettuali di quell’articolo che sono anche le coordinate di un corso di “Analisi delle politiche pubbliche”. Che sono le uniche che abbiamo saputo costruire in questo campo.
Il nostro viaggio è cominciato bene ma non siamo andati molto lontano, perché non abbiamo trovato più nulla in tre giorni di letture e pensieri che all’interno di quelle coordinate cadesse.

4.
La Stampa di Torino – molto interessata per ovvie ragioni – ha dedicato il 7/12 un editoriale di uno dei suoi più autorevoli giornalisti al tema – un articolo che leggerlo non ci è stato di alcuna utilità. Credo che il giornalista sia stato costretto a buttare giù il pezzo in pochissimo tempo e non avesse idea di che cosa stesse parlando. Comunque non c’era nulla di pertinente. Nessun richiamo a fatti che potessero ampliare le conoscenze del lettore e fargli intravedere le “ragioni del sì”. L’unico riferimento fattuale riguardava un nesso causale inverosimile, quello tra l’opera in questione e “lo sviluppo dell’intera area del Nord-Ovest”. Nesso senza alcun significato e rilevanza. Anche perché le “ragioni del sì”, per un’opera di questa dimensione, andrebbero cercate ben oltre il Nord-Ovest dell’Italia, nell’interesse nazionale (ed europeo). Anche perché il “Nord-Ovest” deve trovare una soluzione ai suoi problemi economici (quali, poi?) nei prossimi dieci anni, molto, molto prima che le infrastrutture in discussione comincino a produrre i loro effetti.
Anche il Corriere della Sera dedicava nello stesso giorno al tema un editoriale di uno dei più autorevoli commentatori italiani, Sergio Romano. Ma anche in questo caso si trattava di riflessioni non pertinenti, a “contenuto informativo nullo”. Ad un certo punto abbiamo anche incontrato la seguente affermazione: “Senza Tav lasceremo nelle mani dei nostri concorrenti l’Europa danubiano-balcanica, vale a dire la regione in cui abbiamo realizzato negli scorsi anni (…) qualche significativo successo.” Un altro nesso causale tra eventi espresso in uno spazio-tempo fantastico, senza significato. Niente di utilizzabile.

5.
Gli italiani che li hanno letti – ed anche i miei studenti – non hanno trovato nulla di pertinente in questi due editoriali. Non vi hanno trovato le “ragioni del sì”. Ma non avranno neanche cominciato a dubitare dell’esistenza delle “ragioni del sì”: il pre-giudizio razionalistico è troppo profondamente radicato per essere messo in discussione da un editoriale scritto in fretta.
Ma non hanno trovato nulla di pertinente neanche nelle pagine interne: solo cronaca e impressioni raccolte sul campo. Ma si saranno imbattuti in un’intervista al Presidente della Regione Piemonte, Mercedes Bresso. Lei sì che avrebbe potuto fornire qualche dato, rimandare ai contenuti tecnici di qualche atto amministrativo della sua amministrazione, richiamare le analisi della sua burocrazia e dei suoi consulenti. Ci ha informato, invece, del fatto di essersi svegliata alla tre del mattino con il pensiero che “Lassù i bambini non riescono ad andare a scuola, i loro padri a forza di scioperi rischiano il licenziamento, e poi sta anche arrivando il Natale…” (p. 6).

6.
Nei quotidiani del giorno dopo (8/12) si esercitano sul tema alcune grandi firme del giornalismo italiano: Panebianco sul Corriere, Valentini su La Repubblica, Annunziata su La Stampa. Dopo il magistrale pezzo di Luciano Gallino il giorno prima, la strada era aperta per riflessioni pertinenti, ancorate alle coordinate che logica vuole.
Angelo Panebianco divaga e svolge il tema, certo centrale, dell’arretratezza culturale della “Sinistra” (comunque non capiamo a che cosa si riferisce visto che in Piemonte e in Italia i due principali partiti “della Sinistra” sono favorevoli all’opera e lo hanno detto in tutti i modi). Lucia Annunziata ci aiuta ugualmente molto poco: nel suo articolo non c’è un bit di informazione. (E per di più ci costringe, ad attardarci sulla dicotomia “modernità-nostalgia” (sic). “Che cosa vuole dire?” – “Mah, nella fretta…”). Giovanni Valentini si dedica ad una riflessione sulla funzione del dialogo, opportuna quanto superflua. Sembra anche lui favorevole all’opera, ma non porta nessuna ragione.
Le pagine interne non ci sono ugualmente di aiuto. Su La Stampa un lungo articolo di costume – che sembra un pretesto per un pregevole esercizio di grafica – su chi si oppone in Italia alla “Modernità” (e alla “Alta velocità”). Su La Repubblica (p. 2) alcune righe canzonatorie sulla lentezza (come se la lentezza non fosse un tema di straordinaria profondità e, anche, un tema prosaicamente economico – visto che la velocità ha un costo e ogni ragazzo che studia economia sa che una unità di risorse impiegate per andare più velocemente ha comunque un uso alternativo, da valutare comparativamente). Sul Corriere un politico di rilievo (Emma Bonino) introduce un nuovo concetto affermando che la “Tav in Val di Susa” si deve fare perché “lì c’è in gioco un modello di ecologia sostenibile.” (p. 3) “Ecologia sostenibile? Ma che cosa è?” “Mah, un paradosso, forse semplicemente un refuso…”.

7.
Il terzo giorno (9/12) altri esercizi che sono divagazioni. Barbara Spinelli, su La Stampa, ad un certo punto del suo lungo editoriale si decide a sfiorare il tema affermando “Ci sono progetti razionali, opportuni – una ferrovia ad alta velocità che dal Portogallo va a Kiev ha questi attributi…”. “Ma a che cosa si riferisce?” “Mah, non so, …”. Uno sguardo alla Trans-European Transport Networks che l’Unione Europea immagina di costruire, e che è lo sfondo meta-progettuale di questa vicenda [http://europa.eu.int/comm/ten/transport/index_en.htm], è sufficiente per avere la conferma che ci sono ben altre vie per arrivare da Lisbona a Kiev che non transitare da Torino. Non è che si fa questo tunnel in Val di Susa per andare da Lisbona a Kiev! Ma alla fine l’articolo ritorna sul tema del dialogo istituzionale, e la giornalista formula una proposta, una “… soluzione che può salvare la modernità, evitare la sua demonizzazione..”. Anche lei sembra favorevole, in definitiva, all’opera – ma neanche l’ombra di un motivo nel suo ampio articolo. E, come negli altri, neanche un cenno delle fonti alle quali si alimenta il suo giudizio. Attraverso quale processo, elementi, analisi si è formato il suo giudizio.
Ma prende forma, in questo pezzo, l’equazione fondamentale che sembra alla base del giudizio favorevole che caratterizza tutti questi saggi di giornalismo: “Tav in Val di Susa” = Alta Velocità = Modernità.
Cercavamo delle ragioni razionali, dei ragionamenti falsificabili, delle ipotesi e dei dati per corroborarle e abbiamo trovato i primi, abbozzati elementi di una “mistica delle infrastrutture”.
Su La Repubblica del 9/12 l’editoriale di una altra autorevole firma (Alberto Statera) è dedicato alla storia personale del Ministro Lunardi – e in tutto il resto del quotidiano neanche l’ombra di una informazione sulle “ragioni del sì”. Solo cronaca, racconto. Molta cronaca anche sul Corriere dello stesso giorno (che non ha editoriali sul tema). Nessun riferimento ad analisi, fatti, atti amministrativi, procedure. Neanche la parvenza di un ragionamento, di una riflessione di una tabella riassuntiva dei temi controversi, dei costi finanziari ed economici, dei benefici, del contesto territoriale, delle condizioni a contorno, qualche rimando per approfondimenti. Niente.
Ma in un’intervista a Nerio Nesi (Ministro competente quando fu presa la decisione) si legge: “Ero e resto convinto che l’Alta velocità va fatta.” (p. 6) Neanche il tentativo di accennare ad una ragione, mentre l’intervista scivola su altri temi “Siamo stati noi torinesi a fare l’Italia…”.


8.
Ma che cosa sanno oggi 10 dicembre 2005 sulle “ragioni del sì” “alla TAV in Val di Susa” i due milioni di italiani che hanno letto i quotidiani che abbiamo letto noi in questi giorni? Che cosa sanno non lo posso sapere. Che cosa sanno di più dopo aver letto pagine e pagine di editoriali e di cronache e di interviste questo credo di saperlo: nulla. Non perché sapessero già tutto o molto prima, ma perché non hanno trovato nulla oltre i fatti di cronaca. Le redazioni dei tre principali quotidiani italiani non sono riusciti nei tre giorni chiave della vicenda ad organizzare un pensiero intorno ad un tema così importante (unica eccezione l’articolo di Luciano Gallino, che nessuno ha poi ripreso).
Ma insisto: non diamo troppo peso ad un “fallimento informativo”, le “ragioni del sì” finiranno per emergere.


9.
Certo, ma quali sono e dove sono (nascoste) le “ragioni del sì”?


(10.
I tre quotidiani che abbiamo esaminato dedicano ogni giorno e da anni dettagliate analisi a ciò che accade sui mercati finanziarti e valutari. Hanno una sezione quotidiana per questi temi e supplementi settimanali. Perché non dedicano la stessa attenzione (le stesse risorse) ad esaminare la politica delle infrastrutture, un tema così decisivo per lo sviluppo economico dell’Italia? Ogni giorno e per dieci anni due pagine intere, con analisi tecnicamente pertinenti dedicate alle infrastrutture. Un’opera di alfabetizzazione. Chissà perché non lo fanno? Che strana idea dell’economia devono avere.)


Ancona, 10 dicembre 2005

Antonio G Calafati*

P.S.
Nessuno dei miei studenti legge, se non molto raramente, un quotidiano. Non è dopo questo fallimentare esercizio che posso provare a far loro cambiare idea.
* ANTONIO G. CALAFATI
Docente di “Economia Urbana” e di “Analisi delle Politiche Pubbliche” presso la Facoltà di Economia “Giorgio Fuà” dell’Università Politecnica delle Marche (Ancona) e presso l’Università “Friedrich Schiller” di Jena.