Estratto da: "Dove sono le ragioni del sì?" di Antonio G.Calafati, Edizioni SEB 27, marzo 2006

Parte III - Altre strategie di sviluppo spaziale - pag.72

Propongo una soluzione a questo paradosso: non abbiamo trovato le ragioni del sì semplicemente perché non ci sono. Politici e giornalisti non sono capaci di spiegarle queste ragioni perché non sono state elaborate, discusse. In effetti, non è della Lione-Torino che si dovrebbe parlare per giustificare la Lione-Torino, bensì di un'altra, più complessa questione. Una questione che è apparsa qua e là nel dibattito pubblico ma che non riesce a emergere. Le ragioni del sì alla Lione-Torino si devono cercare in una specifica strategia di sviluppo spaziale dell'Italia: trasformare l'Italia nella piattaforma logistica d'Europa. Ma parlare di questa strategia, argomentarne il senso, ora risulta chiaro, è impossibile per i nostri politici e per i nostri giornalisti.

E impossibile perché questa strategia, questa visione — questa allucinazione — non è stata mai propriamente discussa nella società italiana. Le ragioni della sua desiderabilità sociale non sono state esaminate collettivamente. Si tratta di una strategia - di una grandiosa strategia - che non esiste come fatto politico. Esiste come sommatoria di progetti, ciascuno con la sua logica parziale, che la società italiana non riesce a cogliere nel suo significato globale. Ecco perché nessuno sa parlarne. Ma bisogna pur dire qualcosa, bisogna pur giustificare, di volta in volta, progetto per progetto, gli enormi investimenti richiesti. E lo si fa appellandosi alla razionalità di un calcolo economico locale, specifico. Opera per opera si rimanda a un'algebra economica infallibile che avrebbe dimostrato — senza ombra di dubbio — la razionalità dello specifico progetto in discussione. Dando per scontato, appunto, che questa dimostrazione sia stata già condotta.

Ma non si può dimostrare la razionalità di un progetto come quello della Lione-Torino - che è solo un pezzo di una strategia integrata alla scala del territorio nazionale — separatamente dal suo contesto, senza dire qual è il contesto di riferimento.

Sul tema delle infrastrutture di trasporto, in particolare sui mega­progetti, la società italiana sembra aver perso il controllo del linguaggio,

dei modelli di effetti, degli obiettivi. I megaprogetti sono entrati nel dibattito pubblico italiano, nella politica italiana, come se fossero un ambito di intervento per il quale esisteva un metodo di decisione già definito. Decisioni da affidare, megaprogetto per megaprogetto, a un calcolo economico meccanicamente applicabile. Condotto da qualcuno, in qualche luogo, in qualche tempo, applicando una formula tirata giù da qualche manuale, da usare per calcolare e mostrare, immancabilmente, che i benefici sono maggiori dei costi.

Che cosa ci sarebbe da contestare in questa algebra sociale che dimostra la razionalità di realizzare quel progetto della Lione-Torino? Che dimostra la razionalità sociale del ponte sullo Stretto di Messina e di tanti altri progetti infrastrutturali? Questa algebra sociale sarebbe la modernità — che, finalmente, riusciamo a declinare operativamente. Perché erano le risorse finanziarie che ci mancavano, e adesso che le abbiamo trovate (trovate? trovate dove?) non resta che procedere.

Ma non è così, non è affatto così. Questa è la principale mistificazione nella vicenda della Lione-Torino: cercare le ragioni dove non ci possono essere, costringerci a guardare dove non ci può essere nulla. Nessun calcolo economico, infatti, è in grado di fondare la decisione di realizzare la Lione-Torino. Questa opera è un tassello, solo un tassello di un mosaico che noi — noi chi, poi? — vorremmo realizzare. E una componente di una visione dell'economia italiana nei prossimi cinquant'anni. Quello che dobbiamo essere capaci di giustificare è la razionalità sociale, la desiderabilità di questa visione, non la razionalità delle singole opere. Il fatto di focalizzare la riflessione soltanto sulla linea Lione-Torino è una mistificazione, un travisamento della logica economica.

All'analista si chiede di condurre il suo calcolo come se il contesto della Lione-Torino — un contesto che non-esiste-ancora — esistesse già. Ma così condotto, questo calcolo sociale è solo un espediente retorico. Appena la comunità (nazionale e non sono locale) ha chiesto di esaminare i passi di questo calcolo, ha chiesto che venisse ripetuto pubblicamente, è iniziata la parodia di dibattito pubblico alla quale abbiamo assistito.

Politici e giornalisti si affannano a dirci qualcosa che non possono dirci, qualcosa che nessuno è mai riuscito a dire (perché non si può dire): che quel progetto è socialmente molto utile in quanto tale. Ciò che dovrebbero fare è aiutarci a riflettere sulla razionalità sociale di uno scenario, di una strategia di sviluppo spaziale all'interno della quale quel progetto avrebbe un senso: trasformare l'Italia nella piattaforma logistica d'Europa. Ma perché non si fermano un attimo? perché non prendono un passo lento e si preparano a parlarci, a farci capire il senso di questa visione? Della convenienza economica, della desiderabilità — della follia — di trasformare l'Italia nella piattaforma logistica d'Europa?