ASSEMBLEA DEL PATTO NAZIONALE DI SOLIDARIETA’ E MUTUO SOCCORSO

TRA COMITATI, RETI, MOVIMENTI E GRUPPI

VENAUS – 9 DICEMBRE 2006

 

Intervento di Claudio Cancelli a nome dei Comitati NO-TAV della valle di Susa

 

- Una lettera di Chomsky

 

Sette o otto anni fa un insegnante di Bussoleno, di nome Boris Bellone, scrisse a Noam Chomsky per raccontargli, con qualche documento, delle iniziative degli abitanti di questa valle contro il progetto dell’alta velocità ferroviaria.

Con mia sorpresa, il celebre linguista del Massachusset Institute of Technology – più noto ormai per la sua attività di denuncia delle atrocità del potere che per i suoi studi sulla struttura del linguaggio – rispose, e la sua risposta fu pubblicata su un giornale locale, Dialogo in valle, a cui Bellone era abbonato. Riporto la breve lettera di Chomsky:

 

Caro B. B.

Grazie per avermi mandato le informazioni  riguardo alle esemplari e coraggiose azioni della gente della valle di Susa. Tali iniziative popolari, in molte parti del mondo, stanno diventando una forza potente, che offre l’unica reale speranza di bloccare, e capovolgere,  la progressiva e minacciosa spinta ad un potere centralizzato e ad un’autorità che risiede in remote istituzioni che non rendono conto di quello che fanno. E’ una battaglia di grande significato, che sicuramente foggerà il corso della storia.

     

Nel presentare la lettera sul giornale, la traduttrice fu colta da una crisi di pudore; aggiunse come commento:

 

Forse il Professor Chomsky esagera un po’; gli siamo comunque grati per le belle parole. Un simile apprezzamento da parte di uno come lui ci incoraggia e ci inorgoglisce. Ogni tanto fa bene.

 

Io ero tra quelli che pensavano avesse, per generosità di cuore, esagerato.                                  

 

- Dal bruco alla farfalla

 

La mattina dell’otto dicembre di un anno fa’, mentre aspettavo a Venaus di fronte alla rete della Cooperativa Muratori e Cementisti di Ravenna che arrivassero gli altri trentamila, ho cominciato a chiedermi se il vecchio professore non avesse visto, da lontano, più lucidamente  di noi.

E’ vero, la lettera di Chomsky riprende un tema caro a tutti quelli che non credono al partito di acciaio, né alla sacralità del potere, una fiaba forse,  che tanti hanno raccontato: nonostante le truppe antisommossa, o i carri armati, e la padronanza tecnica degli strumenti di violenza e di tortura, non sono i padroni del mondo a dettare il corso degli eventi, ma gli altri,  quelli che non compaiono sui media, che costruiscono case e coltivano orti, che cuciono vestiti, curano malati; mani pazienti e occhi acuti, e la disciplina interiore che deriva dal lavoro, così lontana dalla sbracata rapina dei potenti. Mi è capitato spesso, nelle mie periodiche crisi di scetticismo, di pensare che questo pensiero costituisca l’anima nascosta, e neppure troppo nascosta, del materialismo dialettico, una disciplina scientifica che associa a una visione disincantata del presente un presentimento del futuro del tutto magico: dal bruco alla farfalla, appunto.

Eppure, è così bella la fiaba, e io faccio fatica a difendermene. Tanto più che l’otto dicembre avevo accanto a me una giovane signora – il ritratto della modestia decorosa, un piccolo colletto di pelliccia su un tailleur di panno scuro – che, aperta la borsetta e tiratene fuori un paio di forbici, nell’attesa si era messa a tagliare la rete della CMC con assoluta tranquillità.

- Ma, signora, si è portata le forbici?- qualcuno le ha chiesto, stupito della preveggenza. Perché no? – ha risposto – Io faccio la sarta.

 

E’ stato allora che mi sono convinto  che stavamo facendo la cosa giusta, sebbene pensassi che probabilmente ci avrebbero sparato addosso. Non mi pesavano più le ore della mia vita sprecate in commissioni tecniche a far finta di discutere, con falsi esperti di origine politica, di banalità propagandistiche, o di argomenti tecnici a cui i miei interlocutori non erano minimamente interessati, ammesso che fossero in grado di capirli: ne era valsa la pena.

 

La lettera di Chomsky racchiude in un abbraccio tante vicende diverse, e situazioni lontane, che  hanno alcuni lineamenti comuni. Persone disarmate, e in qualche misura prepolitiche, si mobilitano in difesa di risorse fondamentali: la terra, l’acqua, l’energia. Rifiutano di affidare ciecamente le loro ragioni alla politica professionale, di cui diffidano; rivendicano il diritto di influire sul destino del loro territorio, opponendosi a un potere lontano e centralizzato.

Anche le dimensioni economiche del problema sono simili a quelle delle tante vicende che sicuramente sono passate per la mente di Chomsky. Il progetto dell’alta velocità italiana è una truffa che vale complessivamente 100 miliardi di euro, e per cifre simili si scatenano guerre, si porta la democrazia a destra e a manca, si bruciano vivi decine o centinaia di migliaia di civili disarmati.

L’unica vera differenza consiste nel fatto che a Venaus non hanno sparato: a noi è andata meglio che ai braccianti di Avola del 1968. E’ un punto importante; conviene discuterne.

 

- Perché non hanno sparato?

 

Non credo che siamo stati trattati più umanamente  dei braccianti del ’68 perché ci venivano riconosciute delle buone ragioni; quelli di Avola ne avevano altrettante. Né per il buon cuore di Pisanu. Secondo me non hanno sparato perché non sapevano bene a chi  avrebbero sparato. Sui campi ripresi alla CMC ho incontrato le persone più disparate, anche quelle che non avrei mai immaginato di incontrare. Tirando nel mucchio avrebbero rischiato di colpire un paio di sindaci,  un prete e due chierichetti, qualche professore o medico, un signore che pochi giorni prima aveva partecipato a una cerimonia insieme ad alcuni capi di Stato, oltre a buon numero di donne e bambini. Marco Revelli, con sovrana indifferenza verso il fumo dei lacrimogeni, discettava di democrazia partecipata con gli inviati di non so quale televisione. Dopo i tanti sforzi per sovrapporre, con tecniche da fotomontaggio, al movimento NO TAV l’immagine di una organizzazione terrorista di fantasia,  i celebri anarco insurrezionalisti – mai visto uno –, come diavolo facevano a raccontare di aver tirato a freddo addosso a uno dei più noti intellettuali italiani?

Non sono lusingato nel raccontare che avevamo con noi persone importanti; tra i tanti peccati che mi tentano, lo snobismo non arriva a scaldarmi il cuore. Quello che voglio dire, è che  l’otto dicembre abbiamo vinto un confronto di volontà e di convinzione, che ha richiesto del coraggio, ma non una battaglia militare.  Abbiamo vinto perché abbiamo mostrato una partecipazione corale, una volontà di tutti, la presenza di un popolo intero, in tutte le sue articolazioni sociali. E’ un grande patrimonio, quello che abbiamo raccolto; ci sono voluti anni di lavoro, l’invenzione di un linguaggio che non ha ceduto agli slogan, eppure accessibile a tutti, il sacrificio di tante ore. Dobbiamo stare ben attenti a non disperderlo.

 E’ venuto invece il momento di tentare una generalizzazione, costruendo una rete di situazioni che hanno problemi simili, e di dare a queste forma organizzativa strumenti e peso. Il Coordinamento di  mutuo soccorso, che i gruppi NO TAV della valle di Susa stanno cercando di costruire in collaborazione con altra gente d’Italia, risponde a questa esigenza.

 

- Rete di mutuo soccorso

 

Non è facile fare politica senza scivolare nella politica come mestiere. Spesso sembra del tutto impossibile. Eppure dobbiamo farlo, è qui che si trova la speranza, lo dice Chomsky. Non è inevitabile che qualsiasi uomo politico sia persona superficiale e vuota; ne conosciamo alcuni che non lo sono, ma vivono male nel loro ambiente; ricordano l’agnello di Woody Allen, che dormiva con il lupo, ma non riusciva a chiudere occhio.  Tuttavia, e a parte i casi singoli, non si può credere che l’insieme degli uomini di governo rappresenti compiutamente gli interessi di coloro che vengono governati, neppure di quella parte che li ha eletti, quando le elezioni sono previste. Questa contraddizione non è un fatto episodico e transitorio, ma strutturale; il potere politico determina uno status, e definisce un gruppo di diversi dagli altri. Il conflitto di interessi tra governanti e sudditi è fondamentale per la comprensione delle dinamiche sociali, anche se viene continuamente rimosso da un impressionante apparato di propaganda; persino gran parte dei conflitti esterni è proiezione di questo conflitto occultato. Un progetto di allargamento della democrazia deve tener conto di questa dialettica; la figura del politico di professione è ineliminabile, ma qualsiasi passo verso una democrazia effettiva spoglia questa figura del suo ruolo.

 

In questi giorni qualcuno sembra sorpreso nello scoprire come l’attuale governo si riveli in molti aspetti uguale, e in alcuni peggiore, di quello precedente. Non vedo che cosa vi sia da stupirsi; si tratta di un governo nato da un accordo tra i maggiori partiti del centrosinistra, la Confindustria di Montezemolo, il potere finanziario, le banche, e le cooperative di tutti i colori. Per quanto riguarda l’alta velocità ferroviaria, sono tornati sul ponte di comando uomini che sin dall’inizio erano coinvolti nell’impresa. Prodi è stato il primo garante del progetto complessivo; Nomisma, una società da lui fondata, ha ricevuto una decina di miliardi di vecchie lire per produrre studi sull’impatto socio-economico dell’opera. E in quanto al caporal maggiore che, giorno dopo altro, invia diktat ai sindaci della valle di Susa, la sua storia meriterebbe di essere rivista con distacco. Perché Di Pietro è un eroe popolare della vulgata mediatica, ma ha nel suo passato alcuni degli episodi più torbidi della vicenda TAV degli anni ’90: da una telefonata in cui Pacini Battaglia, presunto ufficiale pagatore delle imprese di costruzione – che altro  poteva essere? – dichiarava all’avvocato Lucibello di essere stato sbancato dall’attuale ministro[1], a un fascicolo contenente notizie di reato andato perduto, perché Di Pietro sostiene di averlo inviato alla Procura di Roma per competenza e il procuratore a cui doveva giungere di non averlo mai ricevuto, né di aver saputo dell’invio. Può darsi che questi elementi non fossero sufficienti per giungere a una condanna penale.  Antonio Di Pietro è stato in effetti  prosciolto, con una sentenza del gip di Brescia Anna Di Martino; ma in politica dovrebbero esistere  dei criteri di trasparenza. Sembra incredibile che un uomo con la sua storia si trovi a capo del ministero delle Infrastrutture; a quello dell’Interno, forse; in un Ministero per l’alfabetizzazione, ove avrebbe portato insieme a Pacini Battaglia la sua personale e sofferta esperienza, senza alcun bubbio; ma alle Infrastrutture, per quale motivo?

Siamo tutti abituati a pensare con un riflesso quasi automatico che se uno dei protagonisti di uno scontro è cattivo, l’altro sarà  buono. Quando si parla di politici di professione sarebbe più prudente presumere che si tratti di figure di facciata, espressione di poteri e interessi non dichiarati, spesso in lotta per uno stesso bottino. Nel campo delle grandi opere, quelli della fazione perdente – la Calcestruzzi spa di Gardini – sono stati spazzati via con ferocia; ma i gruppi che sono rimasti con le mani artigliate alla ricchezza pubblica, non sono costituiti da santi.

 

Tornando al Coordinamento, penso che esso possa costruire una rete di relazioni in grado di unire gruppi diversi, di dare voce a chi si sente isolato, di mettere a disposizione competenze e informazione pulita, così da fare argine alla costante opera di falsificazione  messa in atto, sugli strumenti di propaganda in mano ai padroni del mondo, dal loro personale di servizio. Il problema di come arrivare a influire sulle scelte è di difficile soluzione; eppure è un problema sentito da un numero sempre più grande di persone. Nella prefazione a un libro recente sull’alta velocità ferroviaria[2], Alex Zanotelli ha scritto:

 Quello che abbiamo visto in Valle di Susa è veramente un esempio di democrazia partecipata, ed è questo che vorrei sottolineare con voi: un processo incredibile avvenuto attraverso un procedimento di consultazione popolare. E’ la gente che deve rimettersi in piedi, che deve dire no a certe logiche, ed è soltanto mettendoci tutti insieme che troveremo la forza per cambiare un sistema che ci porta alla morte.

Dalla Valle di Susa al Ponte – No TAV-No Ponte – tutte il resto è collegato insieme, e la società civile, che stenta ad organizzarsi, a mettersi insieme per creare reti, deve diventare soggetto politico e forzare i partiti per dire NO a certe cose che i partiti e il governo hanno deciso e che non possiamo accettare a meno che non vogliamo tutti morire. Ma vogliamo invece tutti vivere. Diamoci da fare perché vinca la vita.

 

Penso che quando sono in tanti a porsi, e con tale urgenza, un problema, i modi per affrontarlo prima o poi si trovano. Perché sia chiaro che contro di noi milita una organizzazione sociale di parassiti, non qualche inviolabile principio di filosofia naturale. Sono i fautori delle grandi opere, o i teorici dello sviluppo illimitato del  p.i.l., a non conoscere la termodinamica.



[1] Sembra che in seguito Pacini Battaglia abbia dichiarato che intendeva dire di essere stato sbiancato per la paura. Per una descrizione dettagliata della vicenda si può leggere il libro di Imposimato, Pisauro, Provvisionato:  Corruzione ad Alta Velocità, KOINè Nuove Edizioni, 1999.

[2] Laboratorio per la democrazia di Torino, Travolti dall’Alta Voracità, Odradek 2006.