Valerio e gli altri invisibili La mappa del lavoro nero

Dopo il caso del clandestino moldavo morto in un cantiere di Caselle

Ecco dove "arruolano" i caporali


di Diego Longhin da Repubblica del 13/8/05 – pag. V – Cronaca di Torino

 

Operai che pagano per lavorare e per morire nei cantieri. Stranieri che arrivano con la speranza di una vita migliore e che vengono assoldati da gente senza scrupoli all´angolo di una strada o fra i banchi di una chiesa. Operai come Valerio Baciu, il moldavo di 34 anni morto giovedì a Caselle, dove si sta costruendo un nuovo centro commerciale della catena Bennet, schiacciato dai cingoli di un carrello elevatore. Di lui non si è saputo nulla per ore, era un "invisibile" anche per i colleghi, tutti stranieri, e solo con il passaparola fra i romeni gli investigatori sono riusciti a dargli un nome, un cognome e una famiglia. Ora il procuratore aggiunto Raffaele Guariniello sa che Baciu è entrato in Italia qualche mese fa non con il suo passaporto, rimasto in Moldavia, ma con quello di un´altra persona. Sa che lavorava per una ditta romena, di cui si sa solo il nome di battesimo del titolare, Deni, che non si è ancora fatto vivo dalla Romania, e che dei 20 muratori della ditta impegnati a Caselle solo due sono in regola. Difficile districarsi nella catena di subappalti dietro la quale si nascondono gli sfruttatori. Cosa che sta cercando di fare l´ispettorato del lavoro in queste ore.


Esiste, però, una geografia del lavoro nero, con punti di raccolta delle braccia "irregolari" ma a buon prezzo. Marciapiedi dove all´alba si formano gruppetti di extracomunitari, soprattutto romeni e moldavi, pronti a salire sui furgoncini per una paga miserabile. Al massimo sei euro al giorno, contro i 21 che dovrebbero prendere da contratto. Succede tra largo Maroncelli e via Genova, oppure dietro l´Ilte, a Moncalieri, nella zona industriale, dove anche i disoccupati italiani si uniscono agli stranieri per portare a casa qualche soldo. Altre zone calde sono le periferie di Alpignano, Settimo e Chivasso, vicino agli imbocchi della tangenziale o nelle strade della fabbriche, deserte di notte.

 

«Questi sono i caporali meno organizzati - spiega Don Fredo Olivero, direttore del servizio migranti della Caritas - perché quelli più evoluti preferiscono il tam tam, il bigliettino che passa di mano in mano con un semplice numero di telefono». Un sistema che non dà nell´occhio, magari durante la messa, pescando in un bacino di tre mila persone la domenica mattina. Due i templi ortodossi dove si arruola manodopera a buon mercato: in piazza Carlina e in via Cottolengo. «Molti si ritrovano anche nella chiesa cattolica di via del Carmine - aggiunge Olivero - vengono impegnati, attraverso le aziende in subappalto, sia nei grandi cantieri, olimpici e alta velocità, sia nell´edilizia privata. Per ogni straniero regolare tre sono in nero. Preferiscono romeni e moldavi perché sono bianchi e si camuffano meglio».

 

Quadro che trova conferma nelle parole dell´ex console onorario di Romania, Michele Moretti: «Dal 2000 ad oggi si è passati da 3 mila romeni in provincia di Torino ad oltre 31 mila regolari. In Piemonte sono oltre 50 mila. Alle statistiche sfuggono quelli che arrivano con il permesso turistico e che entrano in clandestinità. Molti si presentavano da me in ufficio».


Per l´associazione Libera il caporale si è trasformato in un imprenditore. «Le aziende danno la lista della manodopera necessaria - spiega don Luigi Ciotti - loro pensano a tutto, dal vitto all´alloggio, e lo sfruttato paga 300 euro al mese. Pescano in Italia e all´estero». L´ultima tendenza, infatti, è far arrivare gli operai dal Paese d´origine, applicandogli il contratto della Romania e della Moldavia.