'Ndrangheta: 20 arresti a Milano, sequestrati 10 milioni

 

Il Sole 24 ore - 16 marzo 2009

 

Venti persone, tutte indagate a vario titolo per associazione a delinquere di stampo mafioso, sono state arrestate oggi nelle prime ore della mattinata dai carabinieri di Monza nelle province di Milano, Taranto, Crotone e Catanzaro, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia.


L'indagine, denominata "Isola", era stata avviata oltre due anni fa dai carabinieri di Sesto San Giovanni nei confronti di un gruppo criminale radicato sul territorio di Cologno Monzese. Tutto era nato a seguito di un attentato intimidatorio compiuto nella notte tra il 3 e 4 ottobre 2004 contro un esponente di una storica famiglia della 'ndrangheta di Isola Capo Rizzuto, in provincia di Crotone, contrapposta a un altro clan della stessa area calabra.


Le indagini hanno permesso di identificare la presenza a Cologno Monzese di clan criminali legati alle famiglie Nicoscia e Arena della 'ndrangheta calabrese, impegnate in attività di riciclaggio di capitali di illecita provenienza, favoreggiamento di latitanti e sfruttamento dell'immigrazione clandestina nell'hinterland milanese. Le attività investigative hanno individuato anche i sistemi mafiosi con i quali l'organizzazione esercitava il controllo sul territorio inserendosi nelle procedure di assegnazione di appalti di importanti società impegnate nella realizzazione di opere pubbliche, tra le quali alcune tratte dell'Alta velocità delle ferrovie italiane.


L'azione dei carabinieri ha portato al sequestro di immobili, conti correnti bancari e postali, polizze assicurative e società riconducibili agli indagati per un valore complessivo di oltre 10 milioni di euro.

 

 

APPROFONDIMENTO

 

‘Ndrangheta: 20 arresti a Milano. Infiltrazioni in appalti e alta velocità

 

da http://blog.panorama.it/

(http://blog.panorama.it/italia/2009/03/16/ndrangheta-20-arresti-a-milano-per-infiltrazioni-negli-appalti-pubblici/ )

 

I carabinieri di Monza hanno arrestato 20 persone, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia, nelle province di Milano, Taranto, Crotone e Catanzaro, indagate a vario titolo per associazione a delinquere di stampo mafioso.
L’indagine, denominata “Isola”, era stata avviata oltre due anni fa dai carabinieri di Sesto San Giovanni, in provincia di Milano, dopo un attentato contro un esponente di una storica famiglia della ‘ndrangheta di Isola Capo Rizzuto, in provincia di Crotone.


Le indagini hanno permesso di identificare la presenza a Cologno Monzese di clan criminali legati alle famiglie Nicoscia e Arena della ‘ndrangheta calabrese, impegnate in attività di riciclaggio di capitali, favoreggiamento di latitanti e sfruttamento dell’immigrazione clandestina.


“Le indagini hanno offerto la dimostrazione inquietante di come fosse possibile aggirare la normativa antimafia proprio per le Grandi opere e come di fatto i lavori di movimento terra fossero controllati dalla ‘ndrangheta”. Lo scrive il gip milanese Caterina Interlandi nel provvedimento di custodia cautelare in carcere per 20 indagati tra i quali esponenti di “famiglie” calabresi e un appartenente alla guardia di finanza. Il sistema per chiamata diretta per eseguire i lavori nei cantieri dell’alta velocità di Cassano d’Adda, Melzo e di centri dell’hinterland milanese era egemonizzato dai Nicosia, Arena, Perre e Barbaro. Dai due anni e mezzo di intercettazioni secondo l’accusa emerge che dagli appalti si approdava prima ai subappalti e successivamente in contrasto con le norme antimafia ad ulteriori subappalti con affidamento dei lavori del tutto in nero.

 

Il clan della ‘ndrangheta a cui appartenevano alcune delle persone arrestate era riuscito a creare attorno a sé “un alone permanente di intimidazione” e imponeva “agli operatori economici del settore delle opere pubbliche, relative alla realizzazione del raddoppio della linea ferroviaria Milano-Venezia ad alta Velocità e della quarta corsia dell’autostrada A4, nelle tratte dell’hinterland milanese e in Lombardia, l’assegnazione degli appalti per il movimento terra, secondo il sistema e le regole di spartizione della ‘ndrangheta” si legge nell’ordinanza di custodia cautelare.


Il gruppo era capeggiato da Marcello Paparo, crotonese, 45 anni. A lui facevano capo varie cooperative, la più importante delle quali era la P&P Autotrasporti. Paparo cercava attraverso il consorzio di cooperative Itaca (intestato a Luana, la figlia ventunenne) di prendere il controllo di altre cooperative che avevano già ottenuto l’assegnazione di appalti pubblici. Se i titolari si ribellavano, scattavano le minacce e le violenze. Come quella contro Giovanni Apollonio, che si opponeva al tentativo dei calabresi di prendere il controllo della cooperativa di cui era vice presidente. Contro di lui era stata organizzata una spedizione punitiva, ma per errore era stato ferito con due colpi di pistola il suo vicino di casa.

L’azione dei carabinieri ha portato al sequestro di armi, immobili, conti correnti bancari e postali, polizze assicurative e società riconducibili agli indagati per un valore complessivo di oltre 10 milioni di euro. Tra le armi a disposizione della cosca c’era anche un lanciarazzi in dotazione alle forze armate delle Nato.


Giancarlo Paparo, fratello del presunto capo del clan Marcello, “deteneva” si legge nell’ordinanza “per conto del sodalizio un’arma da guerra del tipo controcarro in dotazione alle forze armate della Nato”. Giancarlo Paparo, infatti, si occupava, secondo l’accusa, dell’approvvigionamento e della custodia delle armi del gruppo.


“Quella condotta dai carabinieri è un’indagine particolarmente significativa che ha permesso di individuare la terza generazione della ’ndrangheta in Lombardia, quella costituita da imprenditori che agiscono con metodologie mafiose, grazie alla forza di intimidazione che nasce anche dal collegamento con le casi madri in Calabria” ha spiegato il procuratore della Repubblica di Milano Manlio Minale, chiarendo che “la prima generazione era dedita alle estorsioni dirette e al traffico di stupefacenti, e la seconda dimostrava la volontà di partecipare agli utili delle aziende imponendo la propria presenza in qualità di soci occulti”.


Secondo il procuratore, la nuova generazione, “presente nel tessuto socioeconomico lombardo e forte dei capitali accumulati dai nonni e dai padri”, va oltre “l’intermediazione parassitaria tipicamente mafiosa” e mostra anche il “tentativo di svincolarsi dalle case madri per poter fare affari e tenersi fuori dai contrasti e dalle faide che caratterizzano i territori di origine in Calabria”. Insomma le ‘ndrine del milanese dimostrano “non piena autonomia ma una certa libertà d’azione”, tanto da trovarsi in alcuni casi al centro “di pretese da parte delle case madri”.

Minale si riferisce al fatto che gli arrestati nell’operazione Isola sono considerati affiliati alle famiglie degli Arena e dei Nicoscia, ‘ndrine al centro di una sanguinosa faida che ha per teatro Isola Capo Rizzuto (Crotone). Mentre in Calabria parlano le armi, nel milanese le due famiglie sono alleate dal 2006 per spartirsi gli affari, prevalentemente, incentrati sugli appalti nel settore edile.


“L’importanza di questa indagine - conclude il procuratore della Repubblica di Milano - consiste nel fatto di aver analizzato e toccato con mano le nuove metodologie utilizzate dalle ‘ndrine, fatto che apre nuovi orizzonti investigativi e ci permette di formulare nuove strategie di contrasto”.