La nuova strategia. Scudi umani contro i cantieri

Autonomi ed anarchici non saranno in prima fila. Così i poliziotti fronteggeranno bimbi e casalinghe

Chi si prepara alla battaglia

 

di Massimo Numa da La Stampa del 10/1/10 – pag. 7

 

Eccolo lì, affannato sotto la pioggia gelida che batte senza tregua l'autoporto di Susa. Uno dei leader storici del centro sociale Askatasuna di Torino, l'autonomo Andrea Bonadonna, affiancato da Raffaele «Lele» Rizzo, altro esponente di rilie­vo della stessa formazione, sta mon­tando la nuova baracca-presidio dei No-Tav. Pareti di metallo, pavimento di plastica, e sopra assi di legno. Poi i fuochi a gas e le pentole. Un deja-vu del dicembre 2005, quando i presidi furono sgomberati con forza dalla poli­zia e il cantiere Ltf fu devastato dai manifestanti.

 

Un paio di cartelli nuovi di zecca, sullo stile di quelli dell'Anas: «No-Tav», «no-sondaggi». Slogan sempli­ci. La baracca sarà il simbolo della «re­sistenza» di chi non vuole l'Alta Velo­cità senza se e senza ma. E' nel punto esatto in cui i tecnici di una società emiliana (niente dati, per tutelare la sicurezza dei lavoratori), nei prossimi giorni, dovrebbero effettuare i son­daggi del terreno, in vista della stesu­ra del progetto definitivo della Torino-Lione. Bonadonna, seguito da un centi­naio di autonomi torinesi e da una ven­tina di anarco-insurrezionalisti di To­rino e dintorni, che si sono tenuti in di­sparte durante questa prima fase del presidio, appare perfettamente inseri­to nelle alte gerarchie del «popolo no Tav». Tutti «assolutamente certi» di riuscire a bloccare, come nel 2005, la Torino-Lione.

 

Gli agenti della Digos di Torino osservano dall'alto di un poggio, il piaz­zale invaso da circa 300 persone, se­condo la questura, mille per il movimento. I poliziotti sanno bene che i manifestanti «pacifici e allegri», paro­la di Alberto Perino, uno dei portavo­ce dei NoTav, cercheranno di opporsi ai sondaggi. Per portarli a termine, do­vranno proteggere ogni cantiere, per tutto il tempo necessario. Ma in pri­ma linea - scontata previsione - non ci saranno né Bonadonna, né gli altri autonomi, né gli anarchici. Ci saran­no invece le signore con il cagnolino in braccio, i bambini e i ragazzini, gli anziani con la bandiera bianca e ros­sa che fa da poncho e il bicchiere di plastica pieno di vin brulé. Usare la forza contro di loro? Contro gli «scu­di umani»? Con i dirigenti di polizia, allora responsabili dell'ordine pub­blico, messi sotto inchiesta persino dalla Corte dei Conti, per le presun­te violenze durante gli sgomberi di strade e cantieri? Scenari difficili da gestire, per le istituzioni.

 

La Valsusa come laboratorio. Su Info-aut, il sito on line dell'autonomia, qualcuno vuole esportare il fortunato modulo anti-Tav anche a Torino, dove sono previsti altri sondaggi. Lo spiega­no, in documento preparatorio all'as­semblea (in programma a Palazzo Nuovo, cioè nell'università di Torino, il 13 gennaio), Ezio Bertok e Claudio Mattone: «Se questo è il quadro della situazione in una valle che mantiene intatta la sua vivacità sul fronte No-Tav la situazione è ben diversa a Torino dove è sempre più difficile anche un semplice dialogo e confronto tra le realtà... In particolare il problema Tav è sentito come lontano nonostante le strette connessioni con i progetti di sviluppo urbanistico della città... biso­gna riprendere un rapporto più stret­to tra tutti noi...». Già sono partiti i so­pralluoghi degli antagonisti sui siti dei sondaggi torinesi. Li vogliono im­pedire. L'area anarchica segue una linea diversa, più sotto-traccia.

 

Sul muro dell'ultima palazzina oc­cupata dagli anarco-insurrezionali­sti (sgomberata dalla polizia il 10 di­cembre scorso dopo una notte di guerriglia metropolitana) e rioccu­pata venerdì notte, è comparso il graffi­to del solito treno e alle finestre è com­parso lo striscione NoTav. Hanno la ba­se più importante in un paese della Val­susa, in uno dei tanti e innocui comitati locali «contro» la Tav, contro i Tir, con­tro qualsiasi cosa. Uno dei militanti teo­rizza, nero su bianco, la prossima «guerra civile armata».

 

E su una rivista sindacale on-line, a cui collaborava, tra il 2006 e il 2007, uno dei br di Seconda Posizione (con­dannati recentemente a pesanti pene detentive, nell'inchiesta del pm di Mila­no Ilda Boccassini), così scriveva Mauri­zio Poletto, nel primo anniversario de­gli scontri, celebrato da un convegno nazionale: «...la liberazione di Venaus è la dimostrazione di come questo meto­do di lavoro, sapendo cogliere oggettivamente la contraddizione Tav come la contraddizione principale di questo ter­ritorio... è stato capace di unificare su questo tema i diversi settori sociali, da­gli operai ai commercianti, dai contadi­ni agli studenti, dai precari ai pensiona­ti... dare vita a un coordinamento nazio­nale e di impegnarsi ognuno a partire dalla propria realtà per superare il sen­so di impotenza e di rassegnazione per ritrovare, con i ribelli della Val di Susa, la forza di alzarsi e dire No, per svilup­pare l'autonomia di classe...». Era il gen­naio del 2007. Sembrano passati un se­colo o un decimo di secondo.