Estratto da Corruzione ad Alta Velocità di F. Imposimato, G. Pisauro, S. Provisionato.  Koinè nuove edizioni

[Cap. III – Il prezzo della verità - pagg. 79-83]

Arrivarono le elezioni politiche del 21 Aprile (1996ndr)

Dopo la vittoria elettorale dell’Ulivo, su sollecitazione di un parlamentare della zona dell’alto casertano, l’on. Pasquale La Cerra, decisi di andare a riferire al presidente del consiglio incaricato tutto quello che sapevo del grande imbroglio. Temevo che quello scandalo, se non tempestivamente affrontato, potesse travolgere anche il governo dell’Ulivo, anche se estraneo alla grande truffa. Ignoravo gli insabbiamenti dell’inchiesta romana da parte di un pm, poi arrestato, e che Prodi era indagato.

 

“E lui restò zitto e imbarazzato”

 

“Ho ancora un ricordo preciso di quel giorno, il giorno in cui Romano Prodi mi ricevette nel suo studio privato di Largo Di Brazza, vicino a fontana di Trevi. Con me c’era anche La Cerra e il coordinatore dell’Ulivo per il casertano Ciontoli. Entrammo accolti da un Prodi in grande forma. Ci salutò con cordialità e con quella giovialità che tira fuori solo nei momenti migliori. Al colloquio era presente anche quello che è stato a lungo l’uomo ombra di Prodi, il suo consigliere Arturo Parisi. Ma appena cominciai a parlare, come per incanto, quel clima di affabilità e cortesia cambiò rapidamente. Mentre parlavo, mentre gli illustravo i risultati dell’indagine dell’antimafia sull’Alta velocità, che La Cerra confermava, mentre gli spiegavo nei dettagli la portata del marcio che si nascondeva dietro quegli affari, lo vedevo rabbuiarsi. Parisi annuiva, Prodi no. Più il tempo passava e più assistevo ad una scena a cui non volevo credere: sprofondato nella sua poltrona, rosso come un peperone, Prodi mi guardava e taceva. Il suo sguardo comunicava una sensazione che ancora ricordo con precisione. Dagli occhi stretti a fessura, dietro le lenti spesse, coglievo un’impressione di preoccupazione per quello che dicevo. Parlai per una mezz’ora e per tutto il tempo Prodi non mi interruppe mai, non aprì bocca, non proferì una parola. Stava lì, dietro la sua scrivania, seduto sulla sua poltrona. Mentre Parisi si mostrava partecipe e interessato alle cose che dicevo, il presidente del consiglio non faceva una piega. Guardavo di tanto in tanto La Cerra e anche lui mi guardava. Ero perplesso, stupito, quasi confuso da quella reazione. Non riuscivo a capire se Prodi fosse preoccupato per le descrizioni che gli stavo facendo delle infiltrazioni della Camorra. Stavo per terminare la mia esposizione in quell’atmosfera gelida, quando si sentì bussare e nella stanza entrò Beniamino Andreatta, all’epoca ministro della Difesa. “Scusate se disturbo – disse Andreatta – Romano, avrei bisogno di parlarti, magari dopo …”.

Prodi sembrò scuotersi all’improvviso, come da un torpore. Mi sembrò che cogliesse quell’interruzione come un’ancora di salvezza. Si alzò di scatto e si precipitò verso Andreatta, afferrandogli la mano e invitandolo ad entrare. Della stranezza della situazione si accorse anche il suo ministro che ci gettò uno sguardo tra il perplesso e l’interrogativo. Prodi si rivolse a noi solo per congedarci in tutta fretta, aggiungedo un furtivo ringraziamento per la visita. Non una parola di commento a quanto gli avevo riferito. Non un accenno. E nel silenzio più gelido lasciammo la sua stanza.

 

Uscii da quell’incontro frastornato e allarmato allo stesso tempo. Ricordo ancora che con La Cerra commentammo a mezze frasi la reazione di Prodi. Sapevo, perché in commissione ce lo aveva riferito l’ingegner Ercole Incalza, amministratore delegato della TAV, del coinvolgimento di Prodi nell’Alta velocità quando, da presidente dell’Iri, aveva avallato società come l’Icla e le Condotte[1], ma ritenevo la sua soltanto un’implicazione formale. Non potevo quindi immaginare una simile reazione. Ne capii la portata qualche tempo dopo. Quando scoprii un particolare fino a quel momento a me sconosciuto: fino dal 1993, quando era stato nominato presidente dell’Iri, divenendo quindi uno dei general contractor, Prodi aveva ricoperto la carica di garante dei lavori dell’Alta velocità. Lui, il presidente del consiglio era stato un controllore di quello scandalo. E - secondo il magistrato romano Giuseppa Geremia – aveva fatto sì che una società da lui stesso creata, la Nomisma, potesse beneficiare di consulenze miliardarie proprio sull’Alta velocità. Ma di tutto questo sarei venuto a conoscenza molto tempo dopo.

 

Lasciando quell’incontro decisi però di scrivergli una lettera. E di inviargli la mole di documenti che avevo accumulato. Lo feci a futura memoria. Ecco il testo della lettera, spedita a Prodi il 6 Maggio 1996.

Caro Professor Prodi, consapevole della centralirà nel suo programma del problema del mezzogiorno, Le invio la mia relazione del gennaio 1996 sull’Alta velocità. E’ un documento drammatico, poiché dimostra l’attualità dei devastanti intrecci tra Mafia, politica e grandi imprese pubbliche, in una situazione di confusione legislativa e di inquinamento degli apparati di prevenzione e di repressione dello Stato. Lei può compiere un’opera di ricostruzione del Mezzogiorno fondata sulla valorizzazione delle sue risorse umane e naturali. Buon lavoro e auguri. Ferdinando Imposimato.

 

Con il passare del tempo, Imposimato ha ripensato più di una volta a quell’incontro. Che cosa temeva Prodi? Perché quella reazione così spropositata? Il presidente del consiglio aveva forse scambiato l’illustrazione dei risultati di un’indagine parlamentare con un atto di accusa nei suoi confronti? Oppure si era sentito minacciato dall’incombere di un qualcosa, un avvertimento?

Nell’ottobre dello stesso anno, Imposimato tornerà ad affrontare il tema delle responsabilità che nessuno volle vedere nelle infiltrazioni camorristiche nell’Alta velocità. Lo fa con dichiarazioni di fuoco riprese dalla stampa.

Ecco il Corriere della Sera: [2]

Alta velocità. Sulle presunte infiltrazioni camorristiche negli appalti della tratta Roma-Napoli, denunciate ieri dall’ex senatore progressista Ferdinando Imposimato, è ormai polemica durissima. Le accuse di Imposimato sono state precise: “La Commissione antimafia aprì un’inchiesta, ma non si volle andare avanti”. Con tanto di nomi. Violante, Bargone, Prodi, allora presidente dell’Iri. Immediata la replica del presidente del consiglio: “Imposimato si è sbagliato. In quel periodo non ero presidente dell’Iri”.

Sulla vicenda è tornata anche Tiziana Parenti, ex presidente della Commissione antimafia, per smentire Prodi e spiegare che “in quel periodo Ferdinando Imposimato fu isolato all’interno del suo stesso partito”. E che si fece di tutto “per tenere questa inchiesta sotto tono”. Non solo. La Parenti ha aggiunto che l’attuale sottosegretario ai Lavori Pubblici, Antonio Bargone, non dice il vero “quando afferma che non si fece mai il nome di Romano Prodi in commissione. Basta guardare gli atti – ha detto la Parenti – e constatare che su mia richiesta fu Incalza a specificare che la firma dell’atto integrativo del ’94 [1993] alla convenzione era dell’allora presidente dell’Iri Romano Prodi”.

Sempre la Parenti ha anche aggiunto che “Imposimato subì un isolamento in via diretta all’interno del suo stesso partito anche perché quell’inchiesta si intrecciava con quella delle Coop rosse”. Alla Parenti ha replicato Bargone: “Dice il falso. Fu lei a non convocare la commissione per quattro mesi” …

 



[1] Che cosa era successo? Qualcosa di inimmaginabile: Prodi in persona, nella sua qualità di presidente dell’Iri, aveva dato il suo benestare all’aggiudicazione dei lavori a società quantomeno sospette, certamente in odore di Camorra, stando almeno a quanto emergerà dal rapporto dello Sco e alle indagini della Procura di Napoli. Dall’audizione dell’amministratore delegato della Tav (Ing. Ercole Incalza, davanti alla Commissione antimafia il 14/9/1995ndr) stavano venendo fuori elementi di enorme gravità. Ma Prodi come ha potuto non accorgersi di niente, neppure delle cose precise denunciate dal presidente della Tav, Portaluri, e delle bombe che scandivano i lavori sulla tratta? L’ipotesi che si fa strada, nella mente di Imposimato, è che ad anticipare le somme necessarie per i lavori siano le imprese della Camorra. Che in questo modo raggiungono due risultati: riciclare il soldi e accaparrarsi le risorse dello Stato. Ma le sorprese non finiscono qui. [dal Cap. II, Salta fuori un nome pagg. 53-54]

 

[2] Articolo: “FS e collusioni. Prodi smentisce Imposimato ma è smentito dalla Parenti” sul Corriere della Sera del 2/10/96