RISCHIO CEMENTO SOTTO LA MOLE

Si chiama Bor.Set.To dal nome dei comuni coinvolti: Borgaro, Settimo e Torino.

E’ un’area verde grande come Central Park su cui da anni puntano gli speculatori - dal Vaticano a Sindona a Ligresti -

che riescono a imporre alla politica (di centrosinistra) “utili” modifiche.

 

di Mauro Ravarino da Il Manifesto del 24/12/09 – pag. 15

 

Fortuna che c'è la crisi a placare un po' il pressing delle ruspe. Se no, non si fermerebbero mai. Già che di suolo se ne mangiano, in Italia, quasi 250 mila ettari l'anno. E in 16 hanno co­struito un'altra Torino ai margini della città, con un aumento di superficie edifi­cata in provincia di 7.500 ettari. Dati che raccontano di un progressivo prevalere della grande e media proprietà immobi­liare sui poteri di controllo degli enti lo­cali. Di una politica non più attenta alle esigenze della collettività.

 

Niente di nuovo, è una spirale che af­fonda le radici negli anni Ottanta e ha contaminato anche la sinistra. Ma ciò che emerge nell'ultimo periodo è la ca­pacità dei privati di imporre alle assem­blee elettive la propria visione urbana (il proprio tornaconto). Mega progetti di cittadelle sportive, parchi divertimenti, villaggi residenziali in stile berlusconiano, che fanno leva sul simbolico, ma non rispondono mai a una reale doman­da. Sintomo di una «bolla culturale» da cui non riusciamo a scuoterci. E, a tutto questo, si aggiungono gli strumenti di programmazione territoriale che si sosti­tuiscono alla pianificazione urbanistica e ai vincoli che impone.

 

Ai tempi della giunta Novelli

«I progetti dei grandi potentati sono presentati come occasione irripetibile per assicurare un vantaggio alla colletti­vità in termini di sviluppo economico e sociale». Lo spiega Raffaele Radicioni, uno che di urbanistica se ne intende: è stato assessore delle giunte Novelli dal 1975 al 1985. Quando si pensava a una Torino dalla struttura «a griglia» invece che radiocentrica, a rompere i confini tra centro e periferia, a trasformazioni urbane svincolate dalla rendita fondia­ria, ad aprire a tutti l'elitaria collina e a ri­durre il costo della casa. Allo stato delle cose, ha perso, ma alle sue idee ci tiene. E negli ultimi anni, oltre a essere l'auto­re del libro Torino invisibile, è stato pro­tagonista di una lotta contro un proget­to che racchiude lo scarto culturale di un'epoca. E anche le contraddizioni: «Un baratto tra pubblico e privato per costruire dove non si poteva».

 

È il caso Bor.Set.to, acronimo che prende il nome dai comuni che in que­st’area, nella zona nord di Torino vicino alla tangenziale, si incontrano: Borgaro, Settimo e Torino. Un territorio conteso da 40 anni, che ciclicamente torna a far parlare di sé. Un polmone verde grande quanto Central Park, tre milioni e 200 mila metri quadri; l'unico spazio agrico­lo ai confini della metropoli. Nel passa­to ha fatto gola a Sogene, l'immobiliare prima del Vaticano poi di Michele Sindona, che sul terreno voleva dar luce a una «Città Satellite» da 60 mila abitanti e, negli ultimi anni, alletta Salvatore Ligresti. Il re del mattone, nonché della fi­nanza, che - gettati alle spalle i guai giudiziari di Tangentopoli (condanna a 2 anni e 4 mesi per lo scandalo Eni Sai) - ha allungato le mani, o meglio il cemen­to, su Torino. Nel 2007 fu accolto con fa­sti dal sindaco Sergio Chiamparino. Arri­vò in elicottero per la conferenza del Mi-To, la manifestazione musicale tra Mila­no e Torino, e si incontrò in gran segre­to con le istituzioni sabaude. Se ne fece un gran parlare. Sembrava che Totò avesse le mani sulla città: un grattacielo vicino a Porta Susa (accanto alla conte­stata Torre Intesa-Sanpaolo di Piano), dove insediare il quartiere generale di Sai Fondiaria di cui è presidente onora­rio, un altro lungo la Spina, la realizza­zione della Biblioteca civica e il «gran ba­ratto» del Bor.Set.to,

 

L'Expo di Milano sposta gli Interessi

Ligresti, in quest'area, vorrebbe co­struire una Falchera 2 (una delle ipotesi era di 1500 alloggi al posto del futuro parco dei laghetti). Diciamo un'edizio­ne più a la page dell'attuale quartiere po­polare, o forse per ironia della sorte una Milano 4, per la vicinanza con la futura stazione dell'Alta velocità, Torino Stura, che la renderebbe più appetibile ai pala­ti meneghini. Adesso è tutto fermo: non è più il 2007, c'è la crisi e c'è anche l'Expo di Milano, dove si stanno concen­trando le mire del patron di Sai. Il pro­getto rimane congelato ma non si sa fi­no a quando: «Probabilmente aspetta­no, con la fine del passante ferroviario nel 2012, le migliori opportunità immo­biliari - pungola Emilio Soave, Pro Natu­ra - perché, come ama ripetere l'assesso­re all'urbanistica del comune di Torino, Mario Viano, al privato si devono sem­pre fornire le più agevoli condizioni per investire». Ma anche nella tregua, me­glio tenere le attenne ritte: «Un leitmo­tiv entra nel subconscio della gente co­me un mantra. Dicono, tanto non lo fa­ranno mai, poi, appena l'attenzione sce­ma, ecco le ruspe» sbotta Lucia Saglia, consigliere comunale Prc di Borgaro e animatrice del Coordinamento per la di­fesa delle aree Bor.Set.To.

 

All'Inizio fu II Vaticano

Meglio raccontarla dall'inizio questa storia. «È uno dei più significativi casi di subalternità degli interessi pubblici ri­spetto a quelli privati», spiega Radicioni, storico membro del Collettivo d'architet­tura (Coar). Correva l'anno 1962 quan­do nacque la Urbanistica sociale torine­se controllata al 71% dalla Sogene, l'im­mobiliare del Vaticano che nel 1963 ac­quistò i terreni al confine tra i 3 comuni, oltre 320 ettari, con l'intenzione - lo di­mostrano gli atti d'acquisto - di costruir­ci la «città satellite». In aree di prima fa­scia agricola. Il progetto fu contrastato per 15 anni dal Pci e dalla sinistra Dc, fi­no a far saltare la testa del sindaco co­munista Edoardo Defassi, invece favore­vole. «Erano altri tempi» dice Radicioni, senza nostalgia né la celebrazione di un passato d'illusioni. Ma spiega: «Nei Set­tanta c'era un conflitto tra il privato, da una parte, e la cultura più qualificata e le amministrazioni di sinistra, dall'altra, che tentavano una politica di controllo e gestione del territorio».

Il cambio è nei primi Ottanta: «Matu­rò al termine del governo di unità nazio­nale e, in concomitanza, ci fu la sentenza del 1980 della Corte costituzionale: un colpo al governo delle città. Fu, infat­ti, rigettata la legge del 1977 sull'edifica­bilità dei suoli, sancendo l'illegittimità della separazione fra proprietà dei suoli e diritto di edificare». Erano anni ram­panti.

 

Lo sbarco di Ligresti

Nel 1991 fallisce Sogene, i liquidatori vendono i terreni alla neocostituita Bor. Set.To. Azionisti sono le acciaierie Ferre­ro, la Coop Antonelliana (poi uscita di scena) e Valorizzazioni edili moderne, ovvero Salvatore Ligresti, che ne tirerà le fila. Prendono contatto con le ammi­nistrazioni e sondano le possibilità edifi­catorie. Nel 1996, le istituzioni coordina­te dall'assessore provinciale Luigi Rivalta provano ad acquisire l'area per 30 mi­liardi. Tentativo fallito. Nel 1999, la Pro­vincia stabilisce che, nel Piano territoria­le di coordinamento, quel lembo di area metropolitana sia preservato allo svilup­po edilizio, rimanendo agricolo. Il Piano deve però essere approvato dalla Regio­ne. E prima di essere votato passano quattro anni in cui capita un po' di tut­to. Nell'«attesa» entrano in vigore due nuovi strumenti di programmazione che permettono di aggirare la pianifica­zione. Il primo è Urban (finanziato dal Fondo europeo) per lo sviluppo sostenibile di quartieri in crisi con l'insedia­mento di infrastrutture e attività produt­tive. Il secondo è Pruust, ideato dal mini­stero delle Infrastrutture, per la costru­zione di una «Tangenziale verde», più o meno un parco. «Sono il bastone e la ca­rota ed è qui che prende piedi O do ut des. Con il protocollo d'intesa del 2004 tra Comuni, Provincia e Regione - rac­conta Radicioni - si concede la possibili­tà di edificare sul 12% (271 mila metri quadrati) dei terreni, attività produttive, servizi, case, in cambio della cessione gratuita della restante proprietà (2 milio­ni e 7 mila metri quadri) destinata alla Tangenziale Verde». Intanto, nel 2003 il comune di Borgaro approva una varian­te al Prg che trasforma parte delle zone Bor.Set.To da agricole a servizi per par­chi urbani e territoriali. Negli stessi an­ni, nasce il Coordinamento per la difesa delle aree, formato da cittadini e associa­zioni ambientaliste, con l'appoggio di Prc, Pdci e Verdi. «Incominciammo a elaborare un libro bianco - spiega Lucia Saglia - e a preparare un ricorso al Tar (tuttora in sospeso), perché la variante era palesemente in contrasto con il Pia­no provinciale».

 

La protesta degli abitanti

È il 2007 quando Ligresti alza il tiro: vuole quadruplicare l'area residenziale della parte torinese, spostandola da Bor­garo e collocandola vicino alla Falchera: più allettante farlo qui, il villaggio, a due passi ci sarà la stazione dell'Alta veloci­tà. C'è chi calcolò una plusvalenza di 100 milioni di euro. Ma gli abitanti scen­dono sul piede di guerra, da vent'anni attendono che i due laghetti del quartie­re vengano recuperati in una zona da destinare a parco, così dice il protocol­lo. L'amministrazione Chiamparino spo­sa invece la linea Ligresti: i palazzi saran­no costruiti a semicerchio attorno ai la­ghi. E il parco? Nel maggio del 2008 il co­struttore siciliano fa retromarcia. Non ri­chiede più la revisione del protocollo. Ma rimane tutto in ballo. «Le ammini­strazioni gli hanno fornito lo scivolo» commenta Soave. «Senza nessuna piani­ficazione, senza valutare se c'è bisogno di nuovi palazzi, visto che in città gli al­loggi sfitti sono 30 mila».

 

La Variante 200

Ma così vanno le cose. Ad Albiano d'Ivrea da 10 anni parlano di Mediapolis, il parco divertimenti con tre centri commerciali davanti al castello di Masino. La società, promotrice del progetto (con sede in Lussemburgo), ha i permes­si per iniziare: le istituzioni hanno pure stanziato i fondi, mancano quelli priva­ti. A Torino, la novità è la variante 200, che oltre a contemplare l'utile linea me­tropolitana, prevede triplicati i diritti edi­ficatori. E le abitazioni del nuovo boule­vard della Spina 3 non sono un bel se­gnale. Certo, non è prerogativa torinese: in Parlamento, la proposta di legge Lupi sulla gestione del territorio introdurreb­be i privati nell'attività di scelta urbana. Per le grandi città forse è un'utopia la crescita zero, ma una pianificazione di­versa è la sola strada percorribile.