In ritardo il treno della memoria

 

Ad un mese dalla strage di Crevalcore un’altra cerimonia a vuoto perché il treno non arriva

E’ sempre più stridente il contrasto tra inefficienza quotidiana e futuro tecnologico

 

Di Michele Serra da Repubblica del 9/2/2005

 

Pare che siano esaurite anche le ultime scorte di lacrime di coccodrillo. Ieri l’altro, alla stazione di Bolognina di Crevalcore, nel trigesimo della catastrofe dell’interregionale 2255, doveva passare il treno. Lo stesso treno. Ad aspettarlo c’erano il sindacato dei ferrovieri e il sindaco con i suoi colleghi, fermi sul marciapiede, nel freddo antico di questi giorni, in piedi a pochi metri dagli ultimi rottami.

Doveva passare il 2255, piano piano, triste triste, e fischiare il suo saluto ai morti e ai vivi nella pianura silenziosa. Ma alle 12,50, l’ora dello schianto, il treno non è arrivato. Era in ritardo di quasi un’ora, ancora nel Mantovano, che tribolava sui suoi vecchi binari a molti chilometri di distanza.

In ritardo (di una vita almeno) anche i dirigenti delle Ferrovie ed altre autorità varie ed eventuali. Nessuno si è presentato. Non il treno, non i suoi mandanti e comandanti. E la stessa cosa era accaduta una settimana dopo l’incidente, quando di nuovo si cercò di fare memoria, e il 2255 non si presentò alla cerimonia, non ce la faceva proprio.

Ecco. La notizia è tutta qui, inesorabilmente qui: sindaco e ferrovieri a braccia conserte in una stazioncina della Bassa, come in un Guareschi amaro, che guardano il binario vuoto e scuotono la testa, aspettando che dal fondo della piana sbuchi qualcosa che non c’è, un treno che almeno oggi, in un sussulto di orgoglio, riesca a fischiare a tono, e a tempo. Silenzio, invece. Silenzio e umiliazione. Silenzio e solitudine.

 

Pochi chilometri più a Sud, su terrapieni lunghi come la potenza del denaro, e della politica, si stringono i bulloni dei nuovissimi binari dell’Alta Velocità. Sarà bellissimo: si arriverà a Parigi in un battibaleno, come nei sogni positivisti e poi futuristi. Lo prenderemo tutti, quel treno, per sentirci europei meglio e più in fretta. Io voglio andare a sentirci Paolo Conte, a Parigi. E a mangiare le ostriche. E poi, naturalmente, ci aspettiamo il Ponte, quello che scavalcherà fiero e beffardo Scilla e Cariddi, che ridurrà Eolo e Nettuno a piccoli obsoleti numi ringhiosi e impotenti.

Ma tutto intorno a queste arterie da Expò universale, dove circolerà la gloria del moderno, continueranno a scorrere o a tentare di scorrere, le povere vene infartuate di un sistema di trasporti di massa che è bacucco e indecoroso, e quando capita anche omicida. In stazioncine graziose e derelitte come quella del vergognoso episodio di lunedì scorso (degno della vergognosa strage precedente) gente comune, italiani a pieno titolo vadano o non vadano a Parigi ad altissima velocità, aspetta le sue tradotte quotidiane masticando amaro, carrozze quasi sempre in ritardo, sporche, malcurate, parenti poverissime dei treni dei signori. Con l’ansia ulteriore di domandarsi ad ogni sussulto o frenata brusca se la manutenzione (cioè la vita delle persone) è ancora la prima delle premure necessarie, o è stata scavalcata dall’urgenza delle grandi opere, dissanguata dai budget insaziabili che destinano fino all’ultimo euro per indorare la vetrina del famoso Sistema Italia.

Ma il famoso Sistema Italia, dannazione, comprende o non comprende anche la stazione di Bolognina di Crevalcore, i mille binari sconnessi e malcurati che innervano un paese fatto soprattutto di paesi, le strade provinciali che smottano, le autostrade costellate di cantieri che collassano alla prima neve?

Che diavolo di sostanza c’è, dentro e dietro la politica delle Grandi Opere, se lungo le linee mezzo morte delle ferrovie di Stato saltano non solamente semafori e scambi , ma perfino le cerimonie, perfino il rispetto per i morti? E’ una piccola opera, forse, portare da qui a là i cittadini italiani in orario e in sicurezza? E salutarli quando crepano?

A ministri, sottosegretari e pezzi grossi che si affolleranno in pompa magna alle inaugurazioni di fulgidi cantieri e superstazioni disegnate da superarchitetti, davanti a una coorte di telecamere, deve importare veramente zero di tutto il resto se a Bolognina di Crevalcore, lunedì 7 Febbraio, nessuno ha sentito il dovere di contare i rottami rimasti sulla massicciata, ricontare i morti, e dire ai pochi vivi presenti , se non qualcosa di intelligente, almeno qualcosa di dignitoso.