Val di Susa: un tunnel per trasportare aria?
di Sergio Bologna (Head of Transport Dept. - Antoptima SA, Lugano - società spin-off dell'Università della Svizzera Italiana)
da ItaliaMondo - Logistica & Intermodalità (Maggio 2006)

E' singolare (e significativo) che nel dibattito sulla questione dell'Alta Velocità in Val di Susa non vengano messi sul tavolo alcuni argomenti d'importanza fondamentale per capire le problematiche del trasporto merci. Eppure una delle motivazioni più forti che vengono addotte per giustificare l'opera è proprio quella che il tunnel dovrebbe migliorare il trasporto delle merci.

1. L'Italia, si dice, è carente di infrastrutture e quindi le performances delle sue catene logistiche sono inadeguate, con effetti negativi sulla competitività dei nostri prodotti. Distinguiamo: le infrastrutture di trasporto sono una cosa, le infrastrutture specificamente dedicate alla logistica sono un'altra. Le prime vengono costruite con denaro pubblico, le seconde da investitori istituzionali privati. Pertanto la dotazione infrastrutturale va calcolata tenendo presenti queste due tipologie. Ora, se si osservano gli investimenti effettuati in Italia negli ultimi sei-sette anni dagli investitori istituzionali in quelle che comunemente vengono chiamate "piattaforme logistiche", "centri di distribuzione" o simili, si potrà constatare che pochi paesi europei hanno avuto i tassi di crescita che si sono verificati in Italia. Anzi, in certe aree, per esempio l'area metropolitana di Milano, abbiamo un grado di affollamento tra i più alti d'Europa. Qual è il problema di queste infrastrutture? Sono state costruite al di fuori di una pianificazione del territorio, non certo per colpa degli investitori, ma per carenze della Pubblica Amministrazione, non sono orientate verso il trasporto ferroviario ma al 98% muovono le merci solo su camion, sono localizzate esclusivamente nel Norditalia.

2. Le infrastrutture pubbliche di trasporto, i grandi assi ferroviari e stradali, si dividono a loro volta in due categorie: le linee ed i nodi. In Italia, ma non solo in Italia, i problemi più acuti sono sui nodi, non sulle linee, e più aumenta la velocità sulle linee, più si aggravano le criticità nei nodi. II 75% dei ritardi dei treni merci intermodali, cioè della tipologia di trasporto su rotaia più promettente, si accumulano in prossimità o dentro i nodi e in particolare nel cosiddetto ultimo miglio ferroviario. "I tempi necessari per effettuare i servizi nei tratti terminali hanno un'elevatissima incidenza su quelli complessivi di percorrenza dei treni (dal 20% al 200%)", "il costo dei tratti terminali assorbe tra il 15% ed il 65% dei ricavi della vendita dei servizi ferroviari". Traggo queste frasi da una presentazione di Trenitalia ad un convegno del 2004. Un terminale è efficiente non solo quando ha spazi e gru potenti ma quando ha regole di gestione chiare, uniformi e valide per tutta la rete e tutti gli attori, quando ha sistemi informatici che ottimizzano le operazioni, quando l'ambiente che lo circonda, compreso il "padroncino" che entra ed esce col suo camion, parla lo stesso linguaggio secondo protocolli condivisi. Le carenze maggiori stanno qui. In base all'ultimo pacchetto di misure per l'applicazione delle normative europee, i terminali intermodali italiani, cioè la parte più sensibile dell'intero nostro sistema ferroviario, quella che collega i porti con l'entroterra e l'Italia con l'Europa, sono stati trasferiti a RFI, che è portata per sua natura ad affrontare il problema più dal lato "immobiliare" che "industriale", dov'è necessario mettere in atto un sistema di regole uniformi per evitare strozzature. Le regole sono importanti quanto l'infrastruttura fisica.

3. E sulla Torino-Lione? Lì i terminali ci sono, anzi, ad Orbassano c'è un gioiello di terminale. Peccato che sia stato costruito per mettere in esercizio un sistema di trasporto ferroviario del tutto inefficiente: la cosiddetta Autostrada Viaggiante. Un sistema, una tecnica, mediante i quali invece di trasferire la merce su unità di carico intermodali e portarla per lunghe distanze, si impiega una linea ferroviaria per trasportare camion completi di semirimorchio, trattore e autista. Nel caso specifico, la tratta è molto breve, da Orbassano a Aiton, alcuni chilometri in territorio francese dopo il confine. Vorremmo sperare che l'utilizzo di un tunnel di base di 54 km per le merci sia stato pianificato per farvi passare treni con vagoni universali o specializzati (cosiddetto traffico "tradizionale") e soprattutto treni di unità di carico standard, tipo container e casse mobili (cosiddetto traffico "intermodale"). Il tunnel di base non può servire per le tecniche di trasporto meno efficienti e di corta distanza, ma per quelle più competitive con il traffico stradale. In teoria però, nella pratica le cose possono essere diverse e per ragioni che non riguardano le infrastrutture.

4. Quello di Modane è il secondo valico ferroviario alpino in termini di tonnellate in transito, per quanto riguarda il traffico "tradizionale". Ma per quanto riguarda il traffico "intermodale" rappresenta solo il 14% del totale alpino, che si ripartisce, com'è noto, tra otto valichi (Ventimiglia, Modane, Domodossola, Luino, Chiasso, Brennero, Tarvisio, Villa Opicina). Un dato quest'ultimo molto più significativo del primo perché non è espresso in tonnellate ma in numero di unità di carico, adottando il vero criterio di misura adatto a valutare sia le performances che la capacità di un'infrastruttura. Infatti, da trent'anni a questa parte, e soprattutto dopo l'invenzione del container marittimo, l'economia dei trasporti ragiona per volumi, non per pesi. Il traffico "tradizionale" è caratteristico della merce pesante (chimica, siderurgia, auto nuove, carta, acque minerali, materiali da costruzione) ed è in calo in tutta Europa. Il traffico "intermodale" è caratteristico della merce leggera ma è anche in grado di assorbire merce pesante (es. piastrelle o prodotti chimici) sottraendola al "tradizionale". E' stabile in tutta Europa o in crescita (si pensi ai container che escono ed entrano a valanga da e per i porti). Il futuro delle merci in ferrovia (se c'è futuro) sta lì. Dunque, perché passa poca merce in unità di carico standard per Modane? Carenze dell'infrastruttura (problemi di sagoma ma in parte risolvibili con interventi sulla linea storica), ostinazione delle ferrovie francesi a non liberalizzare? Certo, tutte ragioni fondate ma una, a mio avviso decisiva, è di solito trascurata ed è quella che riguarda il flop dell'Eurotunnel tra la Gran Bretagna e la Francia. Non sto parlando di problemi finanziari e giudiziari (il 31 gennaio scorso è stato raggiunto un accordo provvisorio tra il comitato dei creditori, che rappresenta circa il 50% del debito di più di 9 mld di euro, e il management della società di gestione dell'Eurotunnel; questo accordo è stato sottoposto entro la fine di marzo al restante gruppo di creditori e nel corso di aprile è possibile che intervengano procedimenti e che la società nel 2007 debba portare i libri in tribunale). Sto parlando del fallimento dell'opzione "intermodale" attraverso il Tunnel sotto la Manica (un ulteriore -16% nelle tonnellate trasportate nel 2005 rispetto al 2004). Ed è questo fallimento che finora ha costituito un handicap del Fréjus come transito obbligato di un corridoio che va dalle regioni ricche italiane ai porti inglesi. Oggi, i treni di container marittimi che utilizzano questo corridoio per imbarcare la merce nei porti inglesi in maggioranza non passano dal tunnel sotto la Manica ma si imbarcano sulle navi traghetto. Di recente, dati gli aumenti imposti dalle ferrovie francesi ai pedaggi, non passano nemmeno da Modane ma, per raggiungere la Gran Bretagna, utilizzano i porti belgi via Svizzera. I gestori di Eurotunnel hanno ripiegato su una specie di Autostrada Viaggiante per fare cassa, ma con scarsi risultati - come si vede dai ricavi del 2005 rimasti inalterati- rispetto al 2004 malgrado il numero di camion con autista transitati sia aumentato del 2%. L'Autostrada Viaggiante non fa corridoio, vale solo su tratte brevi, per superare ostacoli naturali. L'unico servizio di Autostrada Viaggiante con volumi interessanti e lungo percorso in Europa è quello tra Novara e Friburgo, gestito dalla società svizzera Hupac. Ma quanto costa al contribuente svizzero? Oltre ad essere contraria a qualunque ipotesi di trasferimento modale, questa tecnica è molto costosa e la tecnologia applicata ad Orbassano (un tecnologia di brevetto francese, il cosiddetto "carro Modalhor", che i nostri cugini d'Oltralpe vorrebbero imporre a tutta l'Europa) è la più costosa in assoluto, anche se è molto ingegnosa. Questa tecnica sta in piedi solo se è sovvenzionata, quindi va contro le prospettive di privatizzazione dei servizi. Pertanto, poiché il futuro della linea Torino-Lione in quanto corridoio merci intermodale è molto oscuro e non dipende dalla infrastruttura di valico ma da altri fattori da quella indipendenti, parrebbe che le prospettive di utilizzo redditizio della linea ai fini del trasporto merci si limitino ai traffici "tradizionali", che sono traffici da punto a punto, da raccordo a raccordo, da fabbrica a fabbrica, da deposito a deposito. Quindi facilmente identificabili nelle loro prospettive di sviluppo. Possono essere un business interessante, c'è da sperare soltanto (ma solo sperare) che le unità produttive collegate tramite quella linea nel 2015 ci siano ancora e non siano emigrate (in Cina, in Europa dell'est o chissà dove - il futuro del settore manifatturiero europeo essendo piuttosto incerto).

5. Detto questo, non abbiamo nemmeno sfiorato la vera, drammatica emergenza del trasporto merci in Italia. Secondo ricerche campione attendibili, riferite all'anno 2002, cioè prima del periodo più difficile per l'economia italiana, i camion pesanti che circolavano vuoti erano il 43%. Nemmeno dieci anni prima erano il 33%. Nella più rosea delle previsioni, nel 2015, quando il tunnel del Fréjus dovrebbe essere pronto, calcolando un incremento annuo dimezzato rispetto al periodo precedente, avranno raggiunto il 50%. Se dovesse vincere l'opzione Autostrada Viaggiante (è un'ipotesi attendibile perché piace anche a certi ambientalisti ed è sostenuta fortemente dai francesi) si sappia sin d'ora che avremo investito risorse importanti per trasportare.... aria. Ma anche l'intermodale deve fare i conti con i vuoti. La percentuale di vuoti nel traffico di container marittimi era stimata due anni fa da Drewry, la fonte ritenuta più autorevole a livello mondiale, in un 24%, ma in certi porti italiani si supera anche di dieci punti questa percentuale. Tanto per avere un ordine di grandezza, nel 2003, quando è esploso il traffico con il Far East, i container vuoti transitati nei soli tre porti di Livorno, La Spezia e Genova raggiunsero la bella cifra di 776.598 TEU!

Se ci sono queste inefficienze non è certo a causa della carenza di infrastrutture. E' dovuto al modo in cui è stata gestita la logistica da parte delle aziende. Affrontata tardi, la questione logistica, e male. Ne sa qualcosa Fiat Auto, che ha cominciato a occuparsene seriamente quando Volvo ed altri costruttori avevano dieci anni di investimenti e di know-how alle spalle. Non affrontata affatto, come accade ancor oggi per molte PMI, che vendono franco fabbrica e acquistano franco stabilimento. Non si occupano del trasporto, non lo pagano, non ne sono responsabili, è affare dei loro clienti che vengono a prendersi la merce fin dalla Svezia, eppure strillano a gran voce: "mancano le infrastrutture!". La logistica è informatica, perché organizza una rete, una supply-chain. Piattaforme collaborative, sistemi, tecnologie di rete - questa è logistica. E invece, scorrendo i report della Banca d'Italia sullo stato delle industrie italiane nel 2004, al capitolo "investimenti" la voce "tecnologie di rete" è la cenerentola. Al Sud non se ne parla nemmeno. Ma tutti gli imprenditori interpellati gridano in coro: "Infrastrutture, infrastrutture!" L'azienda italiana concepisce spesso il logistico come una specie di Mary Poppins tuttofare, sulle cui spalle scaricare i problemi e le rogne, talvolta senza dargli le risorse necessarie all'importanza. del suo ruolo.
E lui non ha altra soluzione, per cavarsela, che usare il trasporto ad libitum, tanto costa poco, al 98% su gomma. Ed è costretto a farlo, perché gli standard di servizio al cliente che gli vengono imposti sono analoghi a quelli dei paesi con catene logistiche d'eccellenza.

L'importante è correre, non ottimizzare i carichi.
Aveva ragione da vendere uno dei più autorevoli specialisti di logistica del nostro Paese quando scrisse, tre anni fa, sulla rivista dell'Associazione professionale: "Sul trasporto noi logistici abbiamo sbagliato tutto!". Il nostro sistema sta diventando transport-intensive molto più del necessario. Tutti, studenti, economisti, politici dovrebbero leggere le argomentazioni di un manager che da anni è alle prese con questi problemi, sul numero 5 di "Economia & Management", del l'anno scorso. L'Italia del Nord abbonda di piattaforme logistiche, di magazzini e ribalte costruiti secondo i più moderni criteri costruttivi, ma non si può dire altrettanto della dotazione interna, dell'automazione degli scaffali,. dei sistemi avanzati di gestione degli ordini e del picking, spesso si vedono ancora solo facchini di cooperativa e "muletti". Non investono in automazione perché i contratti di outsourcing sono a un anno, due anni, nel settore vige la legge dell'"usa e getta".
Eppure i sistemi per migliorare le inefficienze ci sono, sono i sistemi che l'intelligenza artificiale ha messo a disposizione della logistica, ma richiedono, più che capitali, un cambio di mentalità, trasparenza nelle transazioni, condivisione dei protocolli, partnership, disponibilità al cambiamento, dettaglio e accuratezza nella raccolta e conservazione dei dati, e tante, tante tecnologie di rete. Là dove questi sistemi vengono impiegati sistematicamente, come in Germania, la percentuale di vuoti nel traffico merci su strada è del 15% (dato dell'Associazione degli Spedizionieri tedesca, gennaio 2006). In Italia solo alcune imprese d'avanguardia hanno imboccato questo cammino, risparmiando soldi e viaggi a vuoto. Alcune regioni, come l'Emilia Romagna, sperimentano programmi per sostenere le imprese in questo sforzo. Con qualche successo.
Morale: costruire infrastrutture, di nicchia o di sistema che siano, in un ambiente che non è disposto a questo salto tecnologico, finanziare opere e non incentivare l'upgrading delle filiere logistiche, pensare ad esser più veloci e non pensare ad esser più efficienti, significa nel trasporto merci condannare il nostro sistema produttivo e distributivo al supplizio di Sisifo.

http://www.antoptima.com/admin/pdfrassegna/ItaliaMondo_Maggio_2006.pdf
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